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Solo che,
evidentemente, il bisogno di avventura e di fuga è così forte che anche lui,
alla fine, vi si arrenderà.
Ma c’è di più. La
sceneggiatura del film[2]
mostra chiaramente il suo legame con uno dei più bei romanzi di Philip Dick, L’uomo dei giochi a premio.[3]
Dick è l’autore cui sono ispirati molti dei più bei film di fantascienza degli
ultimi anni, come Blade Runner, Minority Report, per la potenza
predittiva e visionaria delle sue opere che, scritte fra gli anni ’60 e i ’70,
sembrano spesso guardare al nostro presente.
Il protagonista di Time Out of Joint, Ragle Gumm, è, come
Truman, un uomo tranquillo, ancor più anestetizzato di lui: vive in una
cittadina della provincia americana e sbarca il lunario risolvendo enigmi
grafici che compaiono settimanalmente su un quotidiano, vincendo sempre. E senza mai muoversi da casa. Anche lui,
come Truman, scoprirà che quella dove vive è una città finta – un set cinematografico – costruito però
questa volta con la sua volontà: Ragle si è fatto cancellare la memoria per poter
ricostruire attorno a sé il mondo della sua infanzia, nel quale può fare il suo
lavoro (è un esperto in cose militari, e sotto la finzione del gioco sta
combattendo una guerra) senza affrontare le tensioni che questo comporta. War Games[4]
negli
anni ’60 del ‘900.
Ragle Gumm non è che il
predecessore, quindi, dell’uomo del nuovo millennio, che da casa è in contatto
col mondo attraverso
Ma questa metafora vale
fino a un certo punto, perché parte da un punto di vista parziale: il nostro,
quello del “passato”, della Storia,
di una educazione fatta di movimento, spostamenti, rapporti nutriti in praesentia, esperienze concrete e
continue.
In un mondo in cui la
conoscenza è invece basata principalmente sul sentito dire dalla televisione e dagli altri media, e da ciò che
viene insegnato a scuola. È un mondo dove
l’esperienza concreta del reale, del confronto, della relazione, del mettersi alla prova nei termini in cui
lo facevano le generazioni precedenti è sempre più ricacciato indietro, e le
esperienze sono mediate dagli schermi
– della TV, del computer, ora del videofonino… E le persone si adattano. Per
cui non possiamo più giudicare il modo di essere-nel-mondo
dei nostri figli sul metro delle epoche precedenti. D’altra parte, il
comunicare da casa (come Ragle Gumm nella parabola di Dick) non è solo effetto
di una presunta pigrizia esistenziale, ma anche di una condizione concreta:
città più grandi e insicure, distanze maggiori… E anche nuove modalità e
possibilità di comunicare: i nostri genitori protestavano per le ore che
passavamo al telefono. E noi vogliamo criticare i nostri figli per le ore
passate a “chattare”? Il vero problema è per coloro che non possono fare
neanche questo, tagliati fuori dalle opportunità dell’epoca dell’accesso!
Direi che la situazione
si può sintetizzare in termini radicali.
Abbiamo assistito,
senza rendercene pienamente conto, a processi che hanno prodotto mutamenti
epocali nella società – a livello economico, culturale, strutturale – mutamenti che ci hanno disorientato e spaventato, e
che hanno prodotto una vera e propria mutazione antropologica, che possiamo
osservare appieno nella nuova generazione di adolescenti: la generazione dell’accesso, della connessione, della virtualità,
della riorganizzazione completa della propria relazione con tempo e luogo di vita, quindi della propria identità, sociale e
individuale, e della propria rappresentazione
della realtà.
Corriamo il rischio –
noi adulti – di sperimentare una estraneità
alle nuove generazioni – degli esclusi,
ma anche degli evoluti (se mi si
passa il termine).
Ma forse uno spazio di
comunicazione e di alleanza c’è. Per
descriverlo torno a mio figlio.
Con la sua scuola è
impegnato nella Consulta provinciale degli studenti. Si occupa di legalità e
lotta alla criminalità. Poi per conto suo sta imparando a suonare la chitarra
elettrica.
Naturalmente suona con
altri: da solo che senso avrebbe?
E ascolta e cerca di
suonare le musiche dei gruppi di trenta anni fa – di quando noi eravamo i giovani: il pop, il rock di allora. Hendrix, i Cream, i Pink Floyd… Mi ha costretto ad
accompagnarlo a Bologna – città dove è nato – a un concerto di Bob Dylan...
Anzi, per lui e per i
suoi amici il concerto del Live 8 è
stato un evento straordinario, perché ha visto la reunion di una band – i
Pink Floyd, appunto – separatasi qualcosa come 23 anni prima… La
materializzazione su un palco – pur mediata ancora una volta da uno schermo –
di una icona dell’immaginario musicale…
Noi adulti “scafati” vi
abbiamo forse dato meno peso.
Ma a me ha dato da
riflettere.
[2] È di Andrew Niccol, gran conoscitore della narrativa di science fiction.
[3] In originale Time Out of Joint, in Urania Mondadori
1968, poi ripubblicato da Fanucci, Roma, come Tempo fuori sesto.
[4] J. Badham, War
Games, USA, 1983.
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