MAPPE | QDAT 63 | 2016

q63_m01


a saga di Harry Potter, pur nella sua peculiarità e nella sua originalità, possiede delle radici molto antiche, collocate non solo nel moderno genere fantasy e nei suoi maestri, come J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis, ma addirittura nelle leggende medievali. Ad esempio, il tema del mago saggio che prepara un giovane discepolo è presente da secoli nella letteratura, e si dispiega da Merlino fino ad Albus Silente, passando per Gandalf. 
J.K. Rowling stessa ha avuto modo di segnalare tra le sue fonti l’opera di Lewis: “Mi sono trovata a pensare al passaggio nell’armadio per Narnia quando a Harry viene detto di lanciarsi contro la barriera della stazione di King’s Cross; la barriera scompare e Harry è al binario 9 e 3/4, e c’è il treno per Hogwarts” (citato in J. Renton, 2006). 
Ci sono diversi elementi comuni che troviamo nelle due saghe di Narnia e di Hogwarts: dalla struttura in sette libri, al “romanzo di formazione” che da una parte vede crescere nel corso delle avventure dei ragazzi, i Pevensie da un lato e Harry Potter con Ron ed Hermione dall’altro, alla terra misteriosa cui si accede magicamente, con la possibilità però di ritornare nel mondo “normale”, alla lotta contro le forze del caos, e infine alla magia.
Stranamente però qualche critico ha cercato di contrapporre la magia “cattiva e pericolosa” a quella di Lewis. O meglio: qualcuno ha cercato di ignorare quanta magia ci sia in Lewis, preferendo esaltare unicamente lo scrittore che usa l’allegoria cristiana, o ha tirato in ballo Tolkien, dove peraltro di magia ce n’è davvero poca.
La saga di Harry Potter rappresenta uno dei più incredibili successi editoriali degli ultimi anni, e in qualche modo una sorta di caso letterario che ha fatto molto discutere e versare, come si suol dire, tantissimo inchiostro. J.K. Rowling ha seminato nelle pagine incantate della saga di Hogwarts tanta saggezza, oltre che tanta bellezza, e vale davvero la pena cercare di scoprire quello che c’è dietro lo specchio delle avventure di Harry e il suo incredibile successo.
L’autrice scrive un testo per bambini, cercando di comunicare al piccolo lettore le verità di bene in cui lei crede, senza però usare discorsi moralistici, ma cercando di portare il lettore a comprendere che compiere il bene è la cosa più giusta da fare. È così messo in risalto come il successo ottenuto senza fatica, la ricchezza, una vita eterna su questa terra, non sono niente, sono solo illusioni e come ciò che veramente conta sono l’impegno, l’amicizia, l’amore.

 

 

La Rowling, come Lewis, lancia una sfida alla modernità che pretende che noi viviamo nel migliore dei mondi possibili, e poi ci ammanisce orrori quotidiani.

Hogwarts, con le sue leggi e i suoi valori, è una piccola ma significativa risposta alle false certezze dell’uomo postmoderno, che cerca sicurezza nelle cose materiali, che usa gli altri come oggetti a propria disposizione, che ostenta superiorità cercando di affermare se stesso, perché in fin dei conti ha paura di tutto ciò che esula dal suo piccolo orticello. Ha paura, perché il mito della ragione dei secoli precedenti lo ha deluso: dalle grandi ideologie precedenti ne sono usciti i campi di concentramento nazisti e i gulag sovietici, per arrivare a un tempo in cui basta che un presidente di uno stato potente prema un bottone per portare a una guerra mondiale nucleare e alla fine della vita sul pianeta Terra. È l’uomo che ha perso Dio e quindi non conosce più nemmeno stesso. Crede di possedersi e invece è posseduto dalle stesse cose che possiede. È l’uomo che non sa più sperare, perché non ha più un cielo cui guardare. È l’uomo che non sa più di essere creatura di un Creatore, perché Lo ha rinnegato. È l’uomo che fa dell’indifferenza il suo metro di misura, cioè non si misura, non si pone domande sulla sua origine, sul suo futuro, vive l’oggi costruendosi bisogni nuovi, perché il consumismo lo ha ridotto ad essere considerato solo consumatore di beni. Non è importante che trovi il senso della vita, l’importante è che consumi prodotti sempre nuovi.
La magia di Voldemort è depravazione, è il tentativo di piegare le leggi della natura al proprio volere, alla propria brama di onnipotenza, esattamente come descritto da Lewis in Jadis o nel mago Andrew. Il mago Voldemort è un personaggio che rappresenta la brama di potere, il mito moderno del super-uomo, al di sopra del bene e del male. Così lo descrive il professor Raptor verso la fine del libro: 

“Lui è con me ovunque io vada. Lo incontrai all’epoca in cui giravo il mondo. Allora ero un giovanetto scervellato, pieno di idee ridicole sul bene e sul male. Il Signore Voldemort mi ha dimostrato quanto avessi torto. Bene e male non esistono. Esistono soltanto il potere e coloro che sono troppo deboli per ricercarlo… Da allora l’ho sempre servito fedelmente, benché lo abbia deluso molte volte». Raptor d’improvviso rabbrividì. «Non perdona facilmente gli errori»” (Rowling, 2001).

Tutti hanno così paura di Voldemort che nessuno pronuncia il suo nome, ma viene chiamato con allusioni del tipo “Tu-Sai-Chi” oppure “Lei-Sa-Chi”. Voldemort si crede un superuomo, o meglio un supermago, e usa dei suoi poteri per sottomettere tutti al proprio volere, plagiando la gente. È un manipolatore di coscienze. Parlando con Harry nello scontro finale dice: 

“Lo vedi che cosa sono diventato? Pura ombra e vapore… io prendo forma soltanto quando posso abitare il corpo di qualcuno… Ma ci sono sempre state persone disposte ad aprirmi il cuore e la mente… Una volta che sarò entrato in possesso dell’Elisir di Lunga Vita, potrò crearmi un corpo tutto mio…” (ibidem).

Voldemort si crede e si vuole creatore di se stesso, al centro dell’universo, come Jadis, illudendosi che tutto gli è possibile, almeno in potenza. 
Voldemort ha però un punto debole, che si manifesterà lungo la narrazione anche degli altri volumi: ha una gran paura della morte, perché, dopo quest’ultima, vede solo il nulla. Anche questo è tipico dell’uomo che ha perso un orizzonte che lo trascende, che vuole andare alla conquista del mondo. Da qui scaturisce l’angosciosa ricerca del mito del piacere, di una lunga vita su questa terra e il terrore della morte. Il desiderio di una vita immortale, cui anela Voldemort, è lo stesso di molti scienziati, ricercatori moderni: pensiamo, per esempio, alle promesse utopiche di risoluzione di problemi da parte della biologia, delle biotecnologie, della scienza dei computer, della robotica. 
A fronte di un mondo incerto tra il chiudersi nella comodità, nella pigra e indifferente opulenza, e il proiettarsi in avventure superomistiche apportatrici di incubi tecnologici, c’è ancora spazio per l’umanità, per eroi piccoli e umili.
Harry è un eroe molto particolare: la realtà della vita l’aveva ben presto disincantato e le sue aspirazioni non potevano che essere piccole cose, come scappare dal cugino per non farsi picchiare, o andare a settembre in un’altra scuola. Tuttavia il suo destino è diverso, e a un certo punto della vita egli viene letteralmente chiamato a cose grandi, alla meravigliosa avventura di Hogwarts, tra amici e maestri.

 

Clive Staples Lewis, in breve C. S. Lewis (Belfast, 29 novembre 1898 – Oxford, 22 novembre 1963), è stato uno scrittore e filologo britannico.

 

La Rowling ci ha mostrato il suo protagonista attraversare le esperienze della vita, fino a scoprire la propria identità, i propri talenti nascosti, le proprie potenzialità e, da un bambino frustrato, Harry è diventato gradualmente un ragazzo capace di condivisione, di amicizia, di dono, sempre più consapevole di se stesso, del proprio compito nella vita, delle proprie potenzialità. 
L’importanza dell’amicizia, delle virtù personali, fa passare in second’ordine quello che apparentemente sembra l’aspetto più importante, e per i critici più ostili anche quello più inquietante, del mondo di Hogwarts: la magia. In realtà non è il possedere una bacchetta che permette di avere tutto subito e senza fatica. 
La magia è presentata come “un’arte” da imparare con l’impegno, lo studio, la buona volontà. È interessante notare che, per invitare il piccolo lettore a far proprio questo concetto, non vengono stilati lunghi discorsi, ma viene proposto attraverso l’esperienza di vita. Come quando Hagrid spiega a Harry che esiste un Ministero della Magia e Harry domanda: “Ma che cosa fa il ministero della Magia?”. Hagrid risponde: “Be’, il compito più importante è non far sapere ai Babbani che in giro per il paese ci sono ancora streghe e maghi”. Al nuovo interrogativo: “E perché?”, gli viene risposto: “Perché? Ma dai, Harry, perché tutti allora vogliono risolvere i loro problemi con la magia” (ibidem).
Una grande lezione di saggezza. I problemi non si risolvono con una bacchetta magica, ed è bene non coltivare questa illusione. Per riuscire bisogna faticare, e lavorare duro, e già dai primi giorni di scuola Harry si rende conto di tutto questo: “Come Harry scoprì ben presto, la magia era tutt’altra cosa dall’agitare semplicemente la bacchetta magica pronunciando parole incomprensibili. Ogni mercoledì a mezzanotte bisognava studiare il cielo stellato con i telescopi e imparare il nome delle stelle e i movimenti dei pianeti.” (ibidem).
Non basta agitare una bacchetta magica, e soprattutto non sono le grandi gesta eroiche quelle che contano, che valgono, ma anche piccoli gesti fatti per altruismo dalle persone anche “meno dotate” (pensiamo a Neville Paciock, uno dei compagni di Harry Potter) sono molto preziosi.

L’uomo ha desideri grandi (vedi lo Specchio delle Brame), ma non può trasformarli in bisogni da soddisfare subito: se cerca di farlo perde la sua stessa identità di uomo; egli è invece chiamato ad aderire ad un progetto che lo supera. Da chi viene questo progetto? La Rowling non lo esplicita chiaramente, ma lascia la domanda in sospeso, a disposizione della coscienza del lettore, per quanto piccolo egli sia, così come Lewis aveva indicato l’esistenza di una magia più grande e più profonda.
Lewis ebbe modo di spiegare nei suoi scritti che la Magia non era una semplice sopravvivenza dell’epoca medioevale, e la scienza la novità venuta a spazzarla via. In realtà si praticava pochissima magia nel Medio Evo: è il Rinascimento l’epoca in cui si assiste al trionfo delle pratiche magiche, in particolare il Cinquecento e il Seicento che rappresentano il vero apice della magia. 
Quando dunque il professore di Oxford ci parla di magia nelle Cronache, non sta gingillandosi con antiche credenze e superstizioni, per divertire un pubblico di bambini creduloni, ma sta rappresentando ancora una volta, in maniera molto seria,  il conflitto che coinvolge l’uomo dall’alba dei tempi, lo scontro tra l’accettare la natura per come essa è, e come Dio ce l’ha donata, e la tentazione di dare l’assalto al cielo per prendere il posto di Dio, sfida dove tutti i mezzi messi a disposizione dal Nemico sono leciti.
Occorre prendere dunque sul serio quella pratica definita Magia, e Lewis lo fa. Leggerlo fa dunque bene, specie in un tempo come il nostro, dove magia, esoterismo, occultismo sembrano avere un gran fascino. Capire la magia, anche semplicemente per capire quella presente nella letteratura, può essere utile anche per evitare di prendere fischi per fiaschi e cadere in equivoci e demonizzazioni come accaduto nel caso di Harry Potter.
Con il termine magia si indica dunque una tecnica che si prefigge lo scopo di influenzare gli eventi e dominare i fenomeni fisici, nonché l'essere umano, servendosi di gesti, atti e formule verbali e rituali appropriati. 
L'etimologia del vocabolo "magia" deriva dal termine con cui venivano indicati i "magi" (ÌÜãïé), antichi sacerdoti orientali della religione Zoroastriana.

 

 

Il mago solitamente utilizza le sue conoscenze per ottenere determinati effetti realizzabili per mezzo di immagini od oggetti, oppure attraverso la preparazione di pozioni e filtri magici con ingredienti più o meno naturali. Oppure ancora per mezzo di una forma di pratica magica detta incantesimo, che agisce tramite parole o formule magiche. 

La magia è comunque il tentativo di violare le leggi dell’ordine naturale, di elevarsi alla condizione di Dio, e creare, come fa lui.
Tolkien aveva detto chiaramente, nel suo saggio sulle fiabe, che l’uomo può spingersi al massimo a essere un “subcreatore”, qualcuno che plasma una materia che un Altro gli ha fornito. Perfino in un racconto fantastico, in una fiaba, l’uomo può dedicarsi solo alla subcreazione. Ne Il Signore degli Anelli questa pretesa diabolica di poter essere come Dio, di farsi Dio, è condannata nella figura dello stregone Saruman, che vorrebbe realizzare dei servi, forgiare delle creature come gli Uruk-hai, prodotti da una sorta di magica ingegneria genetica, ma alla fine crea solo dei mostri.
Questo tipo di magia è condannato anche da Lewis, che dopo aver chiarito che il mago non è frutto del Medioevo, raffigura e condanna il volto inquietante di una modernità affamata di potere a ogni costo nel personaggio di Andrei, lo zio di Digory Kirke. Impressionante è la giustificazione che il mago dà del proprio operato al nipote: “Ma devi capire che queste sante regole che vanno bene per i bambini, per la servitù, per le donne e anche per la maggioranza degli uomini, non possono certo essere seguite dai saggi e dai grandi pensatori. No caro Digory, gli uomini come me, detentori del sapere più arcano e della saggezza, non possono seguire le regole comuni che guidano il mondo, così come non possono godere dei comuni piaceri della vita. Il nostro, ragazzo mio, è un destino superiore e solitario…” “Ha fatto tutta questa scena - si disse Digory - perché è convinto di poter fare qualunque cosa per raggiungere i suoi scopi” (Lewis, 2010).  
È la teoria della doppia morale, diffusasi a partire dai maghi del Rinascimento fino agli scienziati contemporanei: c’è un’etica buona per le masse, per il popolino ignorante, ed una superiore - che consiste in ultima analisi nell’assenza di limiti morali - che vale invece per gli “esseri superiori”, gli iniziati, coloro che seguono gli imperativi della “conoscenza” (in senso gnostico) e del potere, soprattutto, che essa conferisce. Un progetto delirante la cui insensatezza viene smascherata dall’infantile buon senso del nipote Digory: “Lo zio Andrew lavorava con oggetti che in realtà non conosceva, come fanno quasi tutti i maghi” (ibidem).  È un commento semplice e lucidissimo ai tortuosi e spesso inquietanti sentieri che la modernità ha percorso inseguendo un’autodivinizzazione dell’uomo. 
La figura dello zio altri non è che una sorta di piccolo, cialtronesco Faust che alla fine sarà spazzato via dalla forza e dalla verità portata dal leone Aslan, così come Voldemort viene sconfitto da Harry Potter e la sua compagnia di amici. 
La saga di Harry Potter si pone dunque in continuità con la migliore tradizione della letteratura fantastica inglese, da Lewis Carroll a C.S. Lewis: una rappresentazione simbolica del mondo, con i suoi valori, le sue tragedie, i suoi conflitti.

 

 


 

LETTURE

— Clive S. Lewis. Il nipote del mago. Le cronache di Narnia. Vol. 1, Mondadori, Milano, 2010.
— Jennie Renton, The story behind the Potter legend: JK Rowling talks about how she created the Harry Potter books
— and the magic of Harry Potter's world, Sydney Morning Herald, 10 ottobre 2006.
— J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, Salani, Milano, 2001.