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di Gennaro Fucile

 

Si sono conosciuti il 10 settembre 1993 e da allora è stato un susseguirsi di misteri, complotti, di cose oscure e inquietanti. Sono sempre stati a un passo dalla verità, prossimi a svelare segreti pericolosi, a far emergere strane relazioni tra terrestri e alieni, in un susseguirsi di rapimenti e ritrovamenti, di avvicendamenti di esseri tormentati e individui senza scrupoli. Hanno incontrato creature bizzarre e mostruose, mutanti ma anche vampiri, lupi mannari, fantasmi, creando un mix calibrato di gotico e fantascienza, ma soprattutto loro due hanno via via abolito le distanze, dando vita al più lungo preambolo nella storia della televisione in materia di sesso. Hanno avuto un figlio e chiuso la storia nel 2002; in seguito si sono ritrovati, altrove, sul grande schermo, nel 2008 (X-Files - Voglio crederci), dopo una prima uscita nelle sale dieci anni prima (X-Files. Il film), e infine rieccoli insieme il 24 gennaio 2016 per ricominciare in tivù dopo un intervallo quasi intollerabile per il mezzo televisivo. Sono gli agenti dell’FBI, Fox Mulder (David Duchovny) e Dana Scully (Gillian Anderson) e hanno bisogno di presentazioni solo per pochi.

La serie di speculative fiction creata da Chris Carter, X-Files, è così giunta alla sua decima stagione, una mini-serie composta da sei episodi; un compendio di misteri e di relazioni di coppia, un concentrato di avvenimenti dal costrutto ellittico al limite del rischio, ma quanto basta a farci sbirciare di nuovo l’intero catalogo (dalle ricerche genetiche sui bambini alle creature mostruose) tutto compresso come in uno zip, una dimensione all’altezza dei tempi, una versione figlia della nostra epoca in cui circolano messaggi al massimo di140 caratteri, quelli utilizzabili per un twitt, o gif animate di durata inferiore ai 30 secondi, informazioni che animano molta socialità contemporanea. La lunga pausa che i due agenti si sono presi ha velatamente imposto una serie di scelte nella costruzione degli episodi, a iniziare dal mantenimento della vecchia sigla. È il primo segno di riconoscimento e anche di verifica dell’integrità del mito. Le note di Mark Snow hanno la familiarità che un tempo era propria delle ninne nanne e successivamente di alcuni jingle particolarmente incisivi. Il flusso televisivo però è sempre più intenso, la nostra immersione totale, l’obsolescenza quasi immediata e inevitabile, cosicché il primo episodio ha richiesto un rapido riepilogo delle puntate precedenti, come si usava ai tempi degli sceneggiati televisivi. All’agente Mulder è stato sufficiente un minuto per riassumere una vita trascorsa a scrutare nel buio:

“Mi chiamo Fox Mulder. Fin da piccolo sono stato ossessionato da un controverso fenomeno globale. Mia sorella minore è scomparsa quando avevo dodici anni. Io sono sicuro che è stato un rapimento alieno. La mia ossessione mi ha portato all’F.B.I. dove ho indagato su casi inspiegabili in una unità conosciuta come X-Files. In tale veste ho continuato il mio lavoro sul fenomeno degli alieni e sulla ricerca di mia sorella. Nel 1993 l’F.B.I. ha tentato di screditarmi mandando una scienziata a confutare le mie conclusioni, ma nei dieci anni seguenti la mia ossessione si è rafforzata e lo scetticismo dell’agente Dana Scully è stato messo a dura prova. Nel 2002 in un improvviso cambio di direzione l’F.B.I. ha chiuso gli X-Files e le nostre indagini sono cessate, ma la mia ossessione personale è ancora viva”.

 

 

Mentre la sua voce fuori campo recita questa mirabile sinossi, sullo schermo scorrono polaroid, istantanee delle passate avventure, fotogrammi di episodi memorabili. Un avvio quasi fotocopiato dal film di Andrey Konchalovskiy Le notti bianche del postino (2014), opera a suo modo altrettanto weird e forse non è un caso. 

A distanza di cinque episodi, in chiusura di serie, la sua compagna di discesa nell’ignoto, chiude il cerchio, prendendosi un po’ di tempo in più per infilarci dentro anche quel po’ di nuovo che è stato seminato nella nuova stagione. Il passo è lungo ma altrettanto meritevole di essere seguito:

“Mi chiamo Dana Katherine Scully. Sono un agente speciale dell’F.B.I. Ho scelto di arruolarmi dopo gli studi in medicina per ampliare le mie conoscenze come medico legale, alla ricerca di giustizia, in un mondo basato sulla scienza. Poco dopo essere entrata nell’FBI mi hanno incaricato di rivedere il lavoro di un altro agente, Fox Mulder, e di screditare gli X-Files, indagini che implicavano ciò che i miei superiori vedevano come fantascienza e spreco di risorse. Presto sono arrivata alla conclusione che il lavoro di Mulder sul paranormale non era come mi avevano fatto credere e che gli X-Files erano casi su cui valeva la pena indagare con attenzione. Esiste un mondo oltre i confini estremi della scienza ufficiale, un mondo in cui una scienziata come me avrebbe visto le sue convinzioni messe … duramente alla prova. Sono arrivata persino a temere che l’istituzione in cui avevo riposto la mia fiducia, fosse soggetta all’influenza di forze oscure fuori dal dipartimento e anche al suo interno. Forze minacciate dal lavoro di Mulder e di conseguenza dal mio. Quando la minaccia si fece evidente, fui rapita in casa mia da aggressori ignoti e tornai senza avere mai capito esattamente il perché. Ma gli avvenimenti di quel periodo mi hanno portato a credere che durante la mia breve assenza, io sia stata sottoposta ad alcuni test che hanno avuto come conseguenza una misteriosa malattia mortale da cui sono guarita altrettanto misteriosamente. Test che ora penso facciano parte di una cospirazione più ampia, una cospirazione di uomini che ha nascosto incredibili scoperte scientifiche. Segreti celati al popolo americano da un consorzio dagli scopi egoistici, deciso a consolidare il proprio potere sia internamente che su una scala pericolosamente globale. Ma ci sono domande senza risposta: quali sono i moventi e gli obiettivi finali? Dove e quando questi uomini metteranno in atto il loro piano oscuro e cosa significa il risultato delle analisi sulla mia mappa genetica, in cui ho trovato anomalie del dna che posso solo classificare … come aliene”.

 

 

Su queste ultime parole, la serie dichiara forte di appartenere al giorno d’oggi, mutando, con sfoggio di effetto speciale impensabile agli esordi nel 1993, il volto di Dana Scully, ripreso in piano piano, nel viso dell’alieno, quello ormai iconico perché a oggi il ritratto più accredito. Ieri e oggi. Questa è la vera cifra della mini-serie che ha spaccato in due il pubblico. Divisione che il web ha subito fotografato: da un lato i fan entusiasti e dall’altro quelli delusi, ma la verità è davvero là fuori, al di là della trama apparsa frettolosa nel suo svolgersi (ma non siamo nell’epoca dell’istantaneità?), delle risposte assenti, delle perplessità scatenate da un colossale cliffhanger. 

La verità è che ancora una volta la strana coppia ha operato una piccola rivoluzione nella vicenda tuttora aperta della serialità televisiva, così come insieme a poche altre, rimescolò le carte negli anni Novanta sbriciolando la netta divisione allora vigente tra serie e serial. Questa volta a essere presa di petto è la questione del decadimento dell’immagine televisiva, la tenuta di un quid a metà strada tra il personaggio e l’attore, perché qui si sono rimessi in gioco i corpi lavorati dal tempo che appartengono a entrambi, alla finzione e alla realtà. Mulder e Scully in questi sei episodi giocano a essere due conoscenti di vecchia data, ma lo sono sul serio, con tutto il portato di complicità, di intesa, di allusioni, rimbalzi, rimandi a se stessi e quindi alla lunga vicenda che abbiamo seguito per anni. Sguardi, ammiccamenti, qualche tenerezza, il repertorio di una coppia affiatata, tanto più perché forgiata nell’insolito. Mai come in questo caso il verbo inglese è infinitamente più adeguato di quello italiano. Un to play che l’apparire di altri personaggi/attori storici della serie, non fanno che rafforzare, pur correndo il rischio di fare del modernariato televisivo. In prima linea ci sono Walter Skinner, il vice direttore dell’FBI e l’Uomo che Fuma, interpretati rispettivamente dagli storici Mitch Pileggi e William B. Davis, altri corpi che il tempo ha trasformato, aumentando la vertigine in cui la serie ci precipita: mostrano più anni i personaggi o gli attori? In questi sei episodi si è preda della medesima vertigine che ci afferra nel corso della visione di Boyhood (2014) di Richard Linklater, le cui riprese sono durate undici anni, filmando il naturale crescere e maturare degli attori/personaggi.

C’è di più nel lungo intervallo che divide la nona dalla decima stagione: non siamo di fronte semplicemente a un’interruzione della produzione, ma al farsi narrazione esso stesso, producendo senso ulteriore e generando anche una singolare resistenza all’effimero che è proprio del consumo televisivo. Le serie si prolungano anche per un numero di anni maggiore, i personaggi che le animano fanno tutti i conti con il trascorrere del tempo, ma difficilmente, una volta conclusesi, riprendono a distanza di anni con i medesimi attori/personaggi. 

Accade al cinema, con il proliferare di reboot, remake, prequel, sequel, ma gli avvicendamenti dei corpi rendono più indolore e spesso più fiacca l’operazione. Una buona eccezione è l’inossidabile Arnold Schwarzenegger e la saga Terminator. Non a caso all’ultima edizione, quella del 2015, Terminator Genisys, almeno un merito va riconosciuto: di aver giocato con ironia sulla vetustà del personaggio, ironizzando con garbo, per quanto questo sia alla portata di una rozza body guard dal corpo a elevata tecnologia incorporata. 

Più difficile la sfida di X-Files, perché l’essere in coppia paradossalmente aumenta le difficoltà dell’impresa. Mulder e Scully in questa chiave hanno stravinto la scommessa. Prova ne sia il terzo episodio, La lucertola mannara (titolo originale: Mulder and Scully Meet the Were-Monster), aperto da un cambio delle parti, durante il quale è palpabile anche il gusto degli stessi personaggi/attori a recitare a ruoli invertiti: Scully convinta assertrice della veridicità dell’intero mondo di congetture mulderiane e Mulder scettico, irridente di tali assurdità. L’episodio si avvale anche dell’eccellente prova di Rhys Darby nei panni di Guy Mann, l’uomo lucertola, affabulatore inarrestabile, capace di spararle grosse anche per un tipo come Mulder, che non si beve il racconto fatto in un cimitero di una Scully in versione infoiata che fa sesso con Mann nel retrobottega del negozio dove è impiegato. Più strano dello strano, un evento nell’evento, quello della camicetta sbottonata di Scully, visione inedita, inseguita dai fan per anni e di cui i fotomontaggi che circolano in rete ne testimoniano l’incessante desiderio.

 


 

 

Fatto sta che i due agenti sono borderline e coscienti di esserlo, sempre accompagnati da una coolness discreta ed essenziale al tempo stesso. Nel lasso temporale che ha visto i due ritirarsi da quella scena investigativa, la serie che meglio ha saputo rinverdirne i fasti è stata Fringe (2008-2013), con la medesima disinvoltura nell’altalena tra episodi seriali e di serie, con la stessa logica della divisione dell’FBI ai margini dell’ufficialità e il medesimo campo d’azione, fatto di esperimenti spregiudicati, mutazioni e conseguenti mostri di ogni genere. Ciò che la separa da X-Files è letteralmente un universo parallelo, diventato il motore narrativo con l’andare del tempo delle vicende seriali di Fringe. Anche qui si è puntato su una coppia, Oliva Dunham (Anna Torv) e Peter Bishop (Joshua Jackson), ma qui l’equilibrio è sempre stato precario, vuoi per la presenza di un Olivia anche nell’altro universo, vuoi per la unicità di Peter, presente in un solo universo, e vuoi anche per la esuberanza del personaggio di Walter Bishop (il papà di Peter interpretato da John Noble) che spesso destabilizza il primato della coppia. Niente del genere in X-Files, dove Mulder e Scully sono quasi un solo personaggio rapito dal mistero e fedele al raziocinio e tali si ripropongono anche nella mini serie 2016. A rischio (l’ennesimo) di essere didascalici, il meccanismo viene ancor più messo a nudo nel quinto episodio, Babilonia, occasione anche per attuare un leggero upgrade facendo ruotare l’episodio sul tema del terrorismo islamico. Al caso si interessano due agenti, Miller ed Einstein, lui, Miller, incline a farsi suggestionare da tutto quanto la scienza ufficiale non sa spiegare, lei in possesso di forte razionalità. In pratica una versione in sedicesimo di Mulder e Scully. Ognuno affiancherà uno dei due più esperti detective dell’ignoto, in un gioco di coppie che ripropone la dicotomia di partenza, ma aggiungendovi quella giovani/maturi, o se si vuole: ieri e oggi, di nuovo. Si è detto dell’ironia, del mescolamento dei ruoli e del citazionismo diffuso e il viaggio psichedelico di Mulder sempre in questo episodio ne è prova lampante: qui Duchovny più che rimandare a Mulder richiama alla mente altre sue prove d’attore: il disinvolto Hank Moody di Californication (2007-2014), ma anche lo sballo più recente del sergente Sam Hodiak nella prima stagione Aquarius (2015), dove lo si ritrova alle prese con quello che è l’x-file per eccellenza della stagioni dei flower power: il caso Charles Manson.

Torniamo alla coppia, che ancora vive momenti comuni di dolore e rabbia, di attesa e di commiato. Aleggia l’ombra di William, il figliolo dato in adozione e sparito nel nulla che lo protegge, la mamma di Scully lascia questa terra, la coppia ne esce fortificata e destinata a durare finché morte non li separi. Qui la mini serie termina. Forse Mulder è morto, oppure chissà, inutile aggiungere altre congetture sul possibile prosieguo. Comunque vada, la coppia tuttora più strana del mondo televisivo ha portato a termine quella che sembrava davvero una missione impossibile: sfidare l’eterno presente televisivo, reso possibile anche dall’accesso multiplo alle registrazioni del passato. Non è affatto importante, in realtà, sapere come e se ci sarà un seguito di questa vicenda e quanto è sostanziale il suo substrato paranoide. Conta piuttosto provare a rispondere alla domanda che lo psicanalista di origine russa pone a Mulder nel citato terzo episodio, Babilonia

“Chi ha più bisogno di antipsicotici: uomo che crede di essere lucertola mannara, o uomo che crede che storia sia vera?”

 

 

VISIONI

 

  Autori Vari, Fringe. La serie completa, Warner Home Video, 2015 (home video).
  Rob Bowman, X-Files. Il film, 20th Century Fox, 2009 (home video).
  Chris Carter, X-Files - Voglio crederci, 20th Century Fox, 2009 (home video).
  Andrey Konchalovskiy Le notti bianche del postino, Production Center of Andrei Konchalovsky, 2014.
  Richard Linklater, Boyhood, Universal Pictures, 2015 (home video).
  John McNamara, Aquarius, NBC, 2015.
  Alan Taylor, Terminator Genisys, Paramount, 2015 (home video).