Io sono un ponte: l’unico disegnatore
che abbia fatto del fumetto vecchio stile,
poi del fumetto “nuovo”,
e che stia continuando tuttora.
Sono un fenomeno. I am a bridge.
Jean Giraud/Mœbius
In un distopico futuro ipertecnologico, un detective privato di infimo
livello (di una non meglio precisata classe R) trova un oggetto
misterioso che scopre essere potente oltre ogni limite immaginabile:
l’Incal. Iniziano così le picaresche e incredibili
avventure di John Difool (leggasi Giovanni Il Pazzerello), alle prese
con bizzarri extraterrestri, tecno-scienziati fondamentalisti, culti
intergalattici e robot psicotici. Se cercaste su Google cosa sia
L’Incal, più o meno
intercettereste una definizione del genere, grazie anche alle
informazioni presenti nell’eccellente ristampa integrale
delle edizioni Magic Press.
Ci auguriamo che moltitudini di
appassionati di fumetto, studiosi delle dinamiche
dell’immaginario dell’ultimo quarto del secolo
scorso, curiosi di ogni tipo, i conoscitori delle molteplici
attività dello scrittore-regista-drammaturgo-psicomago
cileno Alejandro Jodorowsky (1929), nonché gli ammiratori
delle varie incarnazioni pseudo-identitarie del disegnatore francese di
fumetti forse più celebrato al mondo Jean
Giraud-Gir-Mœbius (1938), approfittino della ristampa del
primo ciclo di avventure de L’Incal,
un’autentica pietra miliare del medium, finalmente raccolto
per intero in un unico volume e, cosa non da poco, con i colori
originali restaurati sotto la supervisione nientemeno che dello stesso
Mœbius. Non un romanzo grafico, come recita la bandella del
libro: non c’era in origine un progetto unico così
lungo, ma un percorso che mescola fantascienza e simbolismo, satira
sociale e metafisica, sotto l’egida e l’impulso
della storica rivista co-creata da Giraud, Métal
Hurlant. Il libro Magic Press, esemplato
sull’edizione sempre 2011 pubblicato da Les
Humanoïdes Associés, raccoglie i sei volumi
pubblicati in Francia dal maggio del 1981, al giugno del 1988 (L’Incal
nero è del 1981; due anni dopo escono L’Incal
luce e Ciò che è in basso;
del 1985 è Ciò che è in alto;
di tre anni dopo le due parti de La quintessenza: Una
galassia che sogna e Il pianeta Difool),
ed è una miscela di fantasy e improbabile metafisica e
ripropone l’eterna lotta tra le forze del Bene e quelle del
Male, rappresentate rispettivamente dall’Incal Luce e
l’Incal Nero, con un finale da eterno ritorno.
L’unica
cosa che manca davvero all’edizione è un minimo di
apparato storico-critico che funga da introduzione a un fumetto nato in
un momento di straordinario vigore per il linguaggio della cosiddetta
nona arte. E che racconti qualcosa magari anche dell’incontro
tra i due visionari autori di questa storia. A quei tempi, gli anni
Settanta, Jodorowsky, tra le sue tante attività, disegnava
ancora, per smettere, come ricorda in una recente intervista, proprio
nel momento in cui incontrò Giraud. “Quando
incontrai Mœbius, smisi di disegnare” (Babcock,
2010). Ma facciamo un passo indietro.
Nel 1962, il fumetto europeo segna un momento di maturità irreversibile. Nonostante ciò che dica la vulgata, è con Barbarella di Jean-Claude Forest che la bande dessinée marca uno scarto decisivo. Non si tratta, come si sente spesso, di sdoganare l’erotismo nel fumetto, ma l’afflato fantasy e genericamente favoloso di una fantascienza sui generis che, come sottolinea Daniele Barbieri, “ha scarsi legami con il mondo della fiaba” (Barbieri, 2009) ed è soprattutto “fatta di passioni e sentimenti e meraviglia per le scoperte stupefacenti che si rivelano a ogni passo, e dove a ogni passo si intravedono riferimenti a qualche aspetto del mondo di oggi” (ibidem). È qui che nasce una nuova stagione del fumetto francese ed europeo. L’anno successivo, sulla rivista satirica Hara-Kiri, Jean Giraud utilizza per la prima volta, mutuandolo dal matematico tedesco August Ferdinand Möbius, lo pseudonimo Mœbius, che su tavole di fumetti non utilizzerà più almeno fino al 1971, anche se continuerà a farlo per le non sporadiche illustrazioni di fantascienza. Il matematico tedesco aveva messo a punto il nastro che porta il suo nome, una superficie che in topologia si definisce non orientabile, dove dritto e rovescio non hanno più senso, esiste un solo lato e un solo bordo. “Santo cemento, è sconvolgente! Si entra in un interno e ci si ritrova in un esterno!”, così commenta la “spalla” di John, il suo inseparabile assistente volatile (e parlante) Deepo, in una delle avventure dell’Incal. “Col nastro di Mœbius, avevo trovato la metafora per eccellenza. Quella dell’infinito, simbolizzata anche da quell’otto ritorto che forma quando viene disegnato. Finito con Giraud, Mœbius lavora con l’infinito” (Giraud/Mœbius, 1999), così l’autore francese nella sua autobiografia. Nel 1972 nasce poi un’altra rivista fondamentale per il panorama culturale francese, L’écho des savanes, ad opera di Marcel Gotlib, Nikita Mandryka e Claire Bretécher.
Dieci anni dopo, grazie
all’editore Albin Michel, diventerà una delle
maggiori pubblicazioni francesi. L’evento che cambia faccia
in maniera irreversibile al fumetto francese avviene di lì a
poco. Jean Giraud, Philippe Druillet, Jean-Pierre Dionnet e Bernard
Farkas danno vita alla fine del 1974 all’associazione Les
Humanoïdes Associés, immediatamente anche casa
editrice, ed entrano in punta di piedi nelle edicole francesi il 15
gennaio 1975, con Métal Hurlant (da un
guizzo, pare, dell’amico Mandryka), il primo numero della
loro rivista dedicata al fumetto di fantascienza. Ma una fantascienza
particolare, ricorda Mœbius: “I nostri compagni di
viaggio erano i Doors, i Beatles, gli Stones, ma anche Kazan, Altman,
Fellini” (Giraud/Mœbius, 1999). Sf tecnologica
sì, ma innanzitutto fortemente visionaria, e anche
metafisica, in qualche modo discendente da Forest ma con accenni cupi e
una spettacolarità e visionarietà incomparabili
rispetto a Barbarella. Le cinquantadue pagine in
bianco e nero e le sedici a colori del primo numero ospitano, tra le
altre cose, il celeberrimo Arzach di
Mœbius e un episodio dell’americano Richard Corben
(che con le sue storie di fantascienza di anni prima aveva influenzato
tutti gli autori francesi della sua generazione sin qui nominati), il
cui nome sarebbe rimasto per sempre associato alla rivista, e si
avvalgono della capacità grafica di Etienne Robial, che
lavorò successivamente anche in un’altra
fondamentale rivista transalpina: (A SUIVRE).
Farkas
era l’amministratore, e a Dionnet toccò il ruolo
di direttore della pubblicazione, grazie alla sua lunga frequentazione
con il mondo delle riviste, prima fra tutte Pilote
di Dargaud, e grazie allo straordinario team che capeggiava le diede
subito un tono da avanguardia artistica capace di anticipare di un buon
decennio quel movimento che sarebbe stato etichettato come cyberpunk. E
se Barbarella di Forest era il semenzaio in patria,
non si può non nominare il magistero d’oltreoceano
di Robert Crumb e degli altri autori ospitati da Zap Comix:
“Sono pionieri. Ci hanno indicato la strada, come prendere in
pugno la nostra cultura e smettere di chiedere il permesso ai
genitori” (Giraud/Mœbius, 1999). E prima di loro
non va dimenticata la seminale esperienza di MAD di
Harvey Kurtzman.
Il fumettista simbolo della testata degli Humanoïdes
Associés, che poteva contare su nomi come Philippe Druillet
e più tardi su autori del calibro di Enki Bilal, Jacques
Tardi, Juan Gimenez, Caza, Jean-Claude Forest, Jacques Lob, divenne
senza dubbio alcuno Jean Giraud, noto al grande pubblico per la serie
western Blueberry che dal 1963 realizzava per
Pilote su testi di Jean-Michel Charlier, qui nelle vesti scatenate di
Mœbius. La serie di quattro brevi episodi di Arzach
(poi Harzak, Harzack, Harzach) inaugura un modo di
fare fumetti fuori dagli schemi, una sorta di sogno vigile surrealista,
debitore certo della formazione culturale di Giraud stesso, a partire
dall’autore classico che più l’ha
influenzato, Gustave Doré, ma anche della sua esperienza di
vita, da giovanissimo, in Messico e a New York: “Ero andato
in Messico per starci tre mesi in vacanza, e ci ho vissuto nove mesi
che mi hanno profondamente trasformato. Quel soggiorno ha operato come
un viaggio iniziatico”; “New York mi ha guarito da
Città del Messico. È in
quell’incredibile città che sì
è operata per la prima volta la giunzione tra il mio io
fantasmatico e la realtà”
(Giraud/Mœbius, 1999). Arzach
è per lo più muto e racconta i frammenti di una
possibile storia di un essere alieno che svolazza a dorso di uno
pterodattilo in un mondo a metà tra un medioevo magico e un
futuro tecnologico: lo stile grafico iperdettagliato e al tempo stesso
chiarissimo fece grande presa tra i lettori di tutto il mondo, a tal
punto che le sue rappresentazioni si rivelarono fonte di ispirazione
visiva per molto cinema di fantascienza degli anni Ottanta.
Mœbius
sarebbe difatti diventato con il tempo un punto di riferimento per
tutto l’immaginario visivo occidentale, non solo a fumetti,
ma anche cinematografico. È il concept artist di Alien
(1979) di Ridley Scott, di Tron (1982) di Steven
Lisberger, il primo film completamente realizzato in computer grafica e
The Abyss (1989) di James Cameron, altro
straordinario film di fantascienza. Ha realizzato anche i disegni
originali per Les maïtres du temps (1982)
ed è accreditato come special designer per Masters
of the Universe (1987). In anni più recenti
è stato anche il designer di un film ispirato tanto al suo
universo quanto a quello di Metropolis (1927) di
Fritz Lang, Il quinto elemento (1997) di Luc Besson.
Già
nel 1973 Mœbius aveva realizzato per la più
tradizionale Pilote una breve storia, straordinaria, innovativa, che
sarebbe rimasta impressa nella memoria di generazioni di lettori: La
deviazione, un vero e proprio nuovo punto di partenza. The
Long Tomorrow (1975-6), scritto per Giraud da Dan
O’Bannon, offrì poi a Ridley Scott il principale
riferimento visivo per la realizzazione di Blade Runner,
in specie per l’architettura cittadina. Le Garage
hermétique, a partire dal 1979, incarna
l’aspirazione mœbusiana forse più
compiuta: mese dopo mese Mœbius la concepisce senza avere un
preciso piano di sviluppo narrativo. Ma nel 1974, subito prima
dell’uscita del primo numero di Métal
Hurlant, avviene l’incontro che fornisce
un’ulteriore accelerazione al cambiamento della vita, non
solo artistica, di Mœbius. Il francese incontra Jodorowsy nel
momento in cui stava lavorando per realizzare il manifesto di Non
toccare la donna bianca di Marco Ferreri. Il rapporto nasce e
si fortifica proprio intorno al medium cinematografico. Il cileno
propone infatti a Mœbius di lavorare al grandioso progetto
della trasposizione per il cinema della saga fantascientifica di Frank
Herbert, Dune. Il lavoro sarà assai
intenso per un anno circa, poi il progetto produttivo andrà,
si sa, in malora. Come ricorda ancora Mœbius, il loro
incontro avvenne in un momento di straordinaria fertilità
creativa per il francese, e avvenne su un piano dimensionale
particolare: Mœbius aveva bisogno di una guida spirituale, di
un mentore, e trovò in Jodorowsky una sorta di guru, di
maestro di pensiero: “assorbivo letteralmente tutte le
informazioni che mi si presentavano”
(Giraud/Mœbius, 1999). Nel 1981, a chiusura di un quinquennio
di frequentazioni e rapporti tra i due, è la volta de L’Incal,
con la sua carica di misticismo e immaginario ipertecnologico,
meraviglia e ironia, e a partire da quel momento Mœbius
intraprende la strada che lo porterà a diventare
l’autore di fumetti più importante
dell’ultimo scorcio del secolo scorso. “Un granello
di polvere, quando si mette in movimento, agisce su tutto
l’universo. La storia dell’Incal è
quella di un personaggio che possiede un ego piccino e di come egli
rompe questo suo ego per diventare una figura cosmica. In fondo, il
personaggio centrale della saga di John Difool è
l’universo. Ma non voglio dire troppo. Un artista non sa mai
esattamente quel che fa. In una creazione autentica, senza secondi
fini, la storia esiste già da qualche parte
nell’universo. Siamo alla sua ricerca (...) Come diceva
Picasso: «io non cerco, trovo»”. Parola
di Jodorowsky (Giromini, 1999). Mœbius ricorda che il lavoro
tra sceneggiatore e disegnatore non fu certo un modo di lavorare
canonico. Fin dall’inizio Jodorowsky si rifiutava di
scrivere, di mettere le catene al suo flusso creativo:
“riproducendo il nostro modo di lavorare per Dune mi ha fatto
una narrazione improvvisata” (Giraud/Mœbius, 1999).
E da quel momento, per sette anni, come una straordinaria e
potenzialmente infinita jam session, ebbe inizio l’avventura
de L’Incal.
Oggi,
trent’anni dopo quello storico momento, non resta che
augurare a tutti noi, ancora una volta, bon voyage.
* L’articolo è stato pubblicato in precedenza nel numero 35
LETTURE
— AA.VV., Les Humanos. La rivoluzione di Métal Hurlant, Napoli, FactaManent, 2004.
— Babcock Jay, Intervista ad Alejandro Jodorowsky, Arthur Magazine, febbraio 2010.
Traduzione di Giulia Nobilini,
reperibile su Conversazioni sul fumetto.
— Barbieri Daniele, Breve storia della letteratura a fumetti, Carocci, Roma, 2009.
— Giraud Jean/Mœbius, Il mio doppio io.
L’autobiografia del genio dell’immaginario fantastico, Mompracem, Roma, 2012.
— Giromini Ferruccio, Introduzione a Giraud, in Giraud Jean/Mœbius, 1999.
VISIONI
— Jodorowsky Alejandro, Mœbius, L’Incal – L’integrale, Magic Press, Ariccia (Roma), 2011 .