Il fumetto possiede una dimensione che mi pare essenziale:
quella del gioco. La dualità Gir/Mœbius è un gioco.
Un gioco terribilmente serio, come tutti i giochi dell’infanzia.
È venuto il momento in cui serviva un altro gioco.
Dire, come Rimbaud: “Io è un altro”.
Jean Giraud
Quando alla fine degli anni Novanta scrive e dà
alle stampe Mœbius/Giraud: Histoire de mon double
(l’autobiografia che in Italia uscirà con il
titolo Il mio doppio io), Jean Giraud ha
incominciato a rivelare al pubblico il suo Deserto
B, luogo intimo e senza tempo dal quale quasi contemporaneamente
usciranno settanta meravigliose illustrazioni in bianco e nero raccolte
nel volume 40 days dans le Désert B, e
che sarà scenario della miniserie d’animazione Arzak
Rhapsody, realizzata da Mœbius. Del Deserto B
sappiamo che B sta per “bis”, dunque che si tratta
di un secondo deserto, forse secondo a quello
dell’iniziazione messicana che aveva dischiuso decenni prima
il vaso Mœbius, o meno semplicemente, come ci suggerisce lui
stesso dalle pagine del suo ultimo fumetto “il secondo
mondo… là dove il mio doppio ha tutti i
poteri” (Giraud, 2012a).
Gir e Mœbius. Per
chi lo conosce come artista il doppio Giraud corrisponde a due firme,
che rimandano a due universi estetici e a due linguaggi del fumetto per
certi versi opposti, il western e il fantastico, l’uno
fortemente ancorato alle regole del genere e collocato in una specie di
“realtà” storico-mitica che si muove in
uno scenario predefinito, l’altro per definizione privo di
regole e nemico del realismo. Nella sua autobiografia “senza
date”, nella quale alterna ricordi e racconti a profonde
riflessioni su se stesso e il mondo, Giraud ha voluto svelare i due
lati della sua personalità che più o meno
consapevolmente negli anni hanno messo la firma alle sue tavole e ai
suoi progetti, entrare nel gioco di Gir e Mœbius e impegnarsi
a riconoscere l’uno o l’altro negli umori, negli
istinti, nelle (non) scelte, giocando a raccontare due personaggi in
una vita sola. Così abbiamo appreso che Gir, il padre di Blueberry,
l’antieroe uscito dal Fort Navajo di
Jean-Michel Charlier per diventare protagonista di una serie destinata
a durare decenni e universalmente riconosciuta come una delle migliori
serie western di sempre, era il solerte e disciplinato disegnatore che
lavorava quasi ogni giorno con grandi risultati e impegno a un fumetto
di genere, con il preciso scopo di sublimare il genere stesso, con il
gusto della “costrizione poetica”, la ricerca del
classico perfetto. Mœbius era invece il sognatore, quello che
aveva attraversato il deserto in Messico e scoperto la marijuana, che
disegnava inseguendo una trance lucida che gli producesse visioni
fantastiche, emozioni e improvvisazione. Un gioco, come si
sarà intuito, in cui il tempo è sospeso,
perché se un ordine cronologico si può stabilire
per le due firme, lo stesso non si può fare per due lati di
una personalità che hanno sempre convissuto.
“Quando attacco a lavorare sul primo volume di Blueberry […] non ho che un’idea: vincere l’incredibile scommessa di realizzare un fumetto classico, con tutto ciò che questo implica in termini di lavoro. Il mio ideale è la perfezione del disegno, del fumetto, della serie. In quel momento, da qualche parte c’è anche il Mœbius di «Hara-Kiri», ma lo tengo in disparte a vantaggio di Gir” (Giraud, 2012b).
Hara-Kiri è il periodico francese di satira per cui Giraud disegnò alcune storie grottesche da giovane, firmandosi per la prima volta Mœbius, anche se prima che l’Avventura Mœbius abbia inizio passerà ancora una decina d’anni, periodo durante il quale il nastro resterà ad aggrovigliarsi in uno stato di dolente frustrazione che, stando al suo racconto, terminerà soltanto grazie all’imprescindibile e fatale confronto con il gruppo.
“Chi è stato a parlare? Non lo so, non me lo ricordo. C’erano Tardi e Mandryka. Avrò delirato per l’ennesima volta sul fumetto? Avrò dato una volta di troppo la mia opinione su quel che si sarebbe dovuto fare? La risposta è partita diretta, esasperata, definitiva, imparabile, come una sentenza: «E piantala una buona volta di scocciarci con quel che bisognerebbe fare. Tu sei lì incastrato col tuo Blueberry. Non smetti mai di dire che vorresti fare altro, ma questo altro non si vede mai arrivare. Fallo! E poi ne riparliamo»” (ibidem).
Sarà Métal Hurlant, come è noto, ad aprire definitivamente la strada al “secondo Giraud”, con conseguenze mondiali non solo per il fumetto, ma per il cinema, il manga, l’anime, il cyberpunk e la fantascienza. Inutile ripetere in questa sede le numerose influenze che Moeb ha avuto sull’immaginario fantascientifico contemporaneo. Quello che ci interessa qui è entrare nel Mœbius visto da Mœbius, assistere a quello che negli ultimi dodici anni di vita è stato il suo gioco prediletto, un lungo fumetto-viaggio nel suo mondo interiore, nel suo Deserto B “diserbato” e attraversato dai personaggi di carta in perenne ricerca di uno scopo. A leggere Inside Mœbius si ha la sensazione di essere venuti a conoscenza della dimensione intima, al contempo ironica e drammatica, dell’evoluzione di quel doppio che ci aveva raccontato, in cui la componente Mœbius si moltiplica con “l’infinita varietà di emozioni e sensazioni della vita” (ibidem), e dove a rivelarsi è anche un altro doppio, se vogliamo, o più propriamente uno degli ossimori che attraversa questo diario, il grave peso della leggerezza. All’origine di Inside Mœbius c’è “una specie di giornale di bordo” a fumetti incominciato nel 2000, inizialmente non pensato per la pubblicazione e vissuto come pratica quotidiana di confronto e riflessione sulla decisione di smettere di fumare marijuana. L’idea di pubblicarlo si è fatta strada mano a mano che i quaderni aumentavano e il gioco di specchi si faceva più intrigante. In Francia i primi otto album di Inside sono stati pubblicati in sei volumi di circa 120 pagine ciascuno, in Italia saranno raccolti in tre tomi spessi il doppio da Comicon Edizioni, dei quali il primo (un esempio quasi commovente di cura editoriale) è nelle librerie già da qualche mese, mentre il secondo è annunciato per maggio.
“In Inside Mœbius, faccio di me stesso un personaggio come un altro, dissociandolo così, in un certo qual modo, dal mio vero io. Per dargli la vita, lo alimento con cenni autobiografici o eventi di attualità, ma anche con i sogni, le sensazioni o le emozioni che provo mentre disegno. È una riflessione, in una maniera che spero umoristica, sul rapporto tra l’autore, il suo mondo interiore e i suoi personaggi. […] Il disegno di se stesso equivale all’“io” dello scrittore. E non c’è nessun motivo di escludere il fumetto da questo gioco” (Giraud, 2012a).
Il viaggio incomincia con un anziano Giraud seduto al suo
tavolo, in mano il pennello, alle prese con una sceneggiatura di
Blueberry e con la propria astinenza dall’erba. La
sceneggiatura non arriva, e non arriverà, e i personaggi,
Arzak, il Maggiore Grubert del Garage Ermetico,
Blueberry, vagheranno orfani nel deserto del loro autore
accompagnandolo e inseguendolo fino alle ultime pagine. Il vecchio e
instancabile Giraud incontrerà anche un giovane
Mœbius, con cui discuterà di se stesso e degli
eventi della storia, da Chirac presidente all’attentato alle
Twin Towers (“Questo fatto mi ha colpito
profondamente… come se avessimo cambiato pianeta di
colpo…” dice il vecchio Giraud).
Incontrerà perfino Bin Laden, che si divertirà a
far psicoanalizzare dal Maggiore e a far sedurre da Malvina, la
compagna di Gruber qui figura salvifica e misteriosamente rassicurante.
Quando lo metterà di fronte alla sua condizione di
personaggio di carta che esiste solo nella mente dell’autore,
sarà un Bin Laden transgender sotto un niqab fatto del
mantello del Maggiore a spingerlo ai confini del suo amato Deserto,
pronunciando l’inattesa domanda: “Sei certo che lui
ami se stesso?”. Lui naturalmente
è l’autore del fumetto, il Jean
Giraud/Gir/Mœbius/Moeb reale che manovra matita e pennello, e
ogni partenza alla ricerca di (un) sé, ogni fuga dalle
briglie di qualche realtà di lettori, editori, fan
(“Fanculo tutti”, dice il vecchio Giraud a un
Blueberry disperato che tenta di convincerlo a scrivere le sue storie),
è una rincorsa e un volare via, che quando è
l’azzardo di lanciarsi dritto verso il cuore del Problema
diventa dolorosa e conduce inesorabilmente a un abisso di inchiostro
nero.
“È
scocciante”, dice Maître Burg, lo spirito guida dei
Giardini di Edena “questo…
questo desiderio di volare è tipico dei
maniaco-depressivi!” Il desiderio di liberarsi del fardello
della realtà, di perdersi in un luogo remoto del tempo e
dello spazio dove inconscio e subconscio si fondano in un altrove
sconfinato. L’arte è per Giraud veicolo di fuga, e
Mœbius è il metodo di questa fuga, lo strumento
per raggiungere diversi stati di percezione, “ciò
che i surrealisti chiamavano «sogno vigile» o
«esplosione fissa»” (Giraud, 2012b).
Quell’escapismo tanto necessario ai visionari e ai creatori
di universi fantastici che nel mondo interiore può diventare
un insostenibile peso, come raccontano le cadute dolorose o le
illusioni bruscamente interrotte delle tavole di Inside
(“Spiacente vecchio mio! Ha dormito durante tutto il
tragitto” dice Malvina riportandolo a casa.
“Ma… non è possibile! Stavo volando!
Più alto e più veloce che mai!”, gli
risponde Mœbius), e più di tutti il faticoso e
tragico volo ai confini del Deserto B.
Viene da
pensare che questo suo personalissimo gioco a fumetti abbia aiutato
l’ultimo Mœbius a sostenere quel peso, una volta
presa la decisione di abbandonare l’erba e con quella
l’accesso più rapido e intenso a una
realtà altra. E che l’ironia si possa trovare in
tutto questo solo dopo aver vissuto molte albe e molti tramonti.
“Inside Mœbius dà
conto dell’asse verticale maniaco-depressiva che ci
attraversa tutti: in alto il sogno di felicità e di amore
perfetto; all’estremo opposto una certa realtà di
fallimento e di morte”, ci spiega Giraud. In fin dei conti,
gli fa notare la moglie Isabelle, “semplicemente la vita con
i suoi alti e bassi”.
LETTURE
— Giraud Jean, Inside Mœbius Vol. 1, Comicon Edizioni/Mœbius Productions, Napoli, 2012a.
— Giraud Jean, Il mio doppio io, Mompracem, Roma, 2012b.
— Boschi Luca, Dionnet Jean-Pierre e Martinelli Thomas, Les Humanos.
La rivoluzione di Métal Hurlant, Coniglio
Editore, Roma, 2004.
— Poussine Gilles e Marmonnier Christian, Métal Hurlant 1975-1987: La Machine à Rêver, Denoël, Paris, 2005.
VISIONI
— Giraud Jean, Arzak Rhapsody, Dynit, 2004.
— Baumann Hasko, Mœbius Redux. A Life in Pictures, Avanti Media, 2007.
— Pettigrew Damian, MetaMœbius, Citel, 2011.