Alle frontiere degli anni Settanta si era andato ammassando, nel corso dei dieci anni precedenti, un numero considerevole di trasgressioni, anarchismi, sperimentazioni, rotture degli schemi, fuoriuscite dalla norma, liberazioni della forma, cancellazione dei limiti e delle barriere.
Un esercito agguerrito e variopinto pronto a invadere il decennio successivo, per completare la guerra di liberazione degli usi e costumi, della morale e del gusto, del corpo e dell’anima: la grande rivoluzione culturale d’Occidente. Un sommovimento nato all’ombra del terrore e dell’incubo dell’apocalisse nucleare, così elegantemente riassunto dall’icona del fungo atomico al quale si contrapposero una miriade di segni libertari, espressioni dei molteplici modi di essere contro, frutto dell’agire vocato all’abbattimento delle regole.
Il grosso delle armate si posizionò alle frontiere nel 1968, ( www.quadernidaltritempi.eu/numero14) e nel 1969 ( www.quadernidaltritempi.eu/numero18), forte di una presenza crescente dei media; da Parigi si spostò sulla Luna prima e a Woodstock poi, per indicare dei luoghi dove si fissarono definitivamente nell’immaginario collettivo tutte le micro rivoluzioni progettate fino a quel momento: quelle pensate, quelle solo sognate e quelle in parte già realizzate. Nel grande disordine che regnava sotto il cielo la fantascienza non la fece franca.
Nel 1967, l’anno della Summer of Love californiana, venne pubblicata negli Stati Uniti l’antologia a cura di Harlan Ellison, Dangerous Visions (Ellison, 1991), che raccoglieva autori di differenti generazioni, da quelli più classici come Isaac Asimov e Theodore Sturgeon, a quelli più recenti e trasgressivi (allora) come James Ballard, Philip José Farmer e John Sladek, tutti alle prese con temi inconsueti per il genere, affrontati senza censura, in modo spregiudicato (almeno questa era la dichiarazione d’intenti). In quell’antologia si coagulava il flusso sperimentale che aveva attraversato la decade con operazioni anche datate sul piano formale (ad esempio, il ricorso a tecniche impiegate dalle avanguardie storiche novecentesche, in particolare dadaisti e surrealisti), ma tant’è: una nuova generazione era in azione, battendo la pista che a inizio decennio aveva illuminato come un faro la rivista New Worlds, da quando vi avevano messo le mani Ballard e Michael Moorcock. Si affacciano sulla scena nuovi autori come Thomas Disch, Norman Spinrad, Samuel Delany, Brian Aldiss, Harry Harrison e il citato Sladek, altri già non più di primo pelo radicalizzano la propria scrittura, come John Brunner e Robert Silverberg. Altri ancora accentuano il carattere visionario della propria opera, Philip K. Dick su tutti.
Nel 1968 compare sugli schermi cinematografici di mezzo mondo e più, 2001, Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. La sceneggiatura vide coinvolto in un lavoro di circa tre anni Arthur C. Clarke, l’autore del racconto da cui prendeva spunto il film: La sentinella (Clarke, 2004). L’inseguimento nello spazio e nel tempo della verità codificata nel monolite fuse insieme il cinema d’autore, quello rivolto al grande pubblico, il grado massimo di sofisticazione raggiunto dagli effetti speciali e il negletto genere fantascientifico, che fino a quel momento aveva generato solo pellicole oscillanti dalla serie B alla Z (salvo annoverare nel genere un’altra pellicola di Kubrick, ovvero Il dottor Stranamore).
Nel 1969 l’uomo sbarca sulla Luna. È la fine dell’innocenza. Il viaggio nello spazio che aveva segnato mezzo secolo di fantascienza e ancor prima gli anticipatori del genere come Jules Verne, si realizza, si avvera, si spettacolarizza per una platea allora mondiale. Soltanto un mese dopo quegli strani alieni comparsi da pochi anni sulla Terra, i giovani, si ritrovano a Woodstock per tre giorni di musica, pace e amore. Mezzo milione di extraterrestri radunati per ascoltare creature della luce e delle tenebre, per effettuare viaggi al di fuori della coscienza. Le controculture si spettacolarizzano.
Quando tutto questo si riversa nei Settanta la fantascienza sembra avere i giorni contati e, invece, sarà proprio allora che, al massimo della confusione, toccherà il vertice del suo splendore.
In Italia, diversi nuovi editori (o nuove collane di editori storici) cercheranno di darne conto. Urania, la testata di fantascienza per antonomasia, sulle prime resterà a guardare.
Quello che emerge è soprattutto una presa di coscienza (è l’esprit du temps) della funzione produttiva del genere, sempre più creatore e modulatore dell’immaginario collettivo, che quindi richiede una scrittura più consapevole, popolare e raffinata al tempo stesso, completando l’evoluzione avviata nel decennio precedente. Tra crisi del soggetto e affermazione delle reti relazionali e informative, la fantascienza vede il proliferare di declinazioni parallele, in primo luogo della science fiction al femminile, frutto genuino delle liberazioni varie. Autrici come Ursula Le Guin, Joanna Russ e James Tiptree Jr. fanno slittare la prospettiva dell’altro, il valore e la (in)comprensione della differenza; si affidano alle scienze morbide per disegnare le nuove visioni, al punto da scivolare nella neo magia, di spostarsi ai confini del fantasy (ma anche dentro). Si rielaborano miti, religioni e leggende. Sul fronte maschile se ne incarica Farmer, ma anche nuove penne come quella di Roger Zelazny che rivede l’intero pantheon buddista. Si recupera anche la fantascienza sociologica degli anni Cinquanta, ma lo sguardo è ancora più impietoso, come emerge dai racconti (su temi come il cancro o l’assassinio politico) di un altro scrittore emergente, Barry Malzberg. Si rimbalza dall’antropologia alla semiotica, fanno capolino i primi cyborg, proliferano le distopie. Niente punti fissi, dunque, il genere inizia seriamente a travalicare i propri confini e lo fa meglio, paradossalmente, proprio quando rimette in circolo l’anima più genuina, originale, diremmo nativa della science fiction. La corrente venne ribattezzata “nuova fantascienza avventurosa”. Ritornano rivedute e corrette le buone sane super science stories che tanto piacevano a John W. Campbell negli anni Trenta. Altro non sono, con tutti i maquillage dell’epoca, romanzi come Io, Nomikos, l’immortale di Zelazny o Nova di Delany, oppure, ancor di più, il ciclo del Ringworld di Larry Niven, dove si vive in media duecent’anni, la popolazione vive in un anello artificiale intorno a una stella e nell’elenco delle varie, sofisticate tecnologie è il incluso teletrasporto; insomma un mondo zeppo di gadget mirabolanti e vetusti, trame ultra battute, scenari grandiosi, dove aleggia lo spirito ideologico della frontiera da conquistare o difendere. Anche Malzberg lo si ritrova in quest’orbita con il romanzo Oltre Apollo (memorie paranoidi di un astronauta), la sua versione distorta, implosa, del viaggio spaziale.
Su questa scena fa il suo maestoso ingresso Rama, oggetto volante non identificato, inizialmente catalogato 31/439 e poi ribattezzato Rama perché “gli astronomi avevano da tempo dato fondo alla riserva della mitologia greco-romana e ora stavano saccheggiando il pantheon indù”.
Il romanzo Rendezvous with Rama di Clarke appare nell’autunno del 1973 sulla rivista Galaxy (Clarke, 2012). Urania (qui con grande tempestività) lo pubblica nel dicembre dello stesso anno in Italia (Incontro con Rama, n. 634). La quarta di copertina recita così: “Un misterioso, remotissimo corpo celeste viene segnalato dai radiotelescopi terrestri, e anche quando si scopre che la cometa, o pianeta, o asteroide, si sta avvicinando al sistema solare, la notizia appassiona soltanto gli astronomi. Ma ecco che gli osservatori identificano l’intruso: è un immenso cilindro metallico che ruota su se stesso a velocità vertiginosa. Nessun dubbio è più possibile, si tratta di un manufatto, di un veicolo lanciato nello spazio da qualche prodigiosa tecnologia cosmica. Il comandante Norton riceve l’ordine di esaminare da vicino, con la sua astronave Endeavour, il silenzioso colosso, e se possibile di sbarcarvi, di agganciarlo, di esplorarlo, di prendere contatto con gli eventuali navigatori oltregalattici”.
Il contatto viene stabilito, Norton e i suoi entrano in Rama, si attrezzano per esplorarlo, per salire o scendere o procedere in linea retta nel corpo cavo di Rama (punti di vista, in un certo senso, come si vedrà nel corso del romanzo) e dal quel momento, in pratica, non succede niente, assolutamente niente. All’interno non c’è nulla, non un suono, buio totale. Al più grande manufatto alieno mai comparso nel sistema solare Clarke vi fa corrispondere il massimo dell’indifferenza “quasi sprezzante” che Rama mostra nei confronti dei suoi visitatori. Qualsiasi ipotesi è lecita su Rama, tutte sono plausibili e subito dopo smontabili. Non cambia la musica quando Rama progressivamente si anima fino a strutturare al suo interno un perfetto sistema ecologico, mentre la scena si illumina e la luce inonda l’immensa cavità. Tutto ciò accade grazie alla presenza degli umani, come un dispositivo di molteplici feedback azionati da una memoria remota? Forse, ma potrebbe anche essere parte di un programma concepito indipendentemente, oppure perché la visita rientrava nei piani di Rama. Segno immenso e oscuro, Rama è indecifrabile. Meccanismo perfetto, incomprensibile, Rama riporta sulla carta quello che Kubrick (con Clarke come si è detto) aveva mostrato in 2001, Odissea nello spazio. Il monolite del film e il cilindro del romanzo ci indicano il limite e involontariamente ci riforniscono di senso per difetto. Curiosamente anche a bordo della Endeavour ci sono degli scimpanzé, ma vi restano, in fondo non cambia nulla: qualsiasi mammifero, più o meno bipede, è condannato all’ignoranza di fronte a Rama.
Qualcosa del genere avvenne anche oltrecortina. Nel 1972 viene dato alle stampe il romanzo dei fratelli Strugackij (Arkadij e Boris) Picnic sul ciglio della strada (Strugackij, 2003), storia poi ripresa da Andrej Tarkovskij con Stalker (1979). Anche qui si marca la stessa distanza tra l’umano e il non umano. Nella Zona, come è chiamata l’area interessata da una misteriosa visita di extraterrestri, ne restano i segni del passaggio, ma sono insignificanti: nulla ci dicono sui visitatori, sulle modalità della sosta, sul perché.
Nell’esplosione dei segni, nel big bang dei significanti, nel rimescolamento dei futuri che la fantascienza opera all’epoca, l’immenso corpo cilindrico di Rama invade la scena per differenza, con una densa opacità che esplicita la natura fragile della scienza e l’indecidibilità tout court, affondando un colpo mortale al cuore della fantascienza. Clarke ne è probabilmente cosciente e opera una retromarcia, ricorrendo a un marchingegno degno di Jules Verne, una bicicletta volante con cui sarà possibile a un membro dell’equipaggio, James Pak, confidenzialmente Jimmy, di esplorare aree altrimenti irraggiungibili. Inoltre, con Verne (e con il Farmer di L’inferno a rovescio), il romanzo condivide l’idea di un mondo cavo che si ritrova nelle speculazioni del Liddenbrok di Viaggio al centro della Terra. Ed eccolo, dunque, il ritorno di Verne. Per apprezzarlo si rende necessario riportare per intero, per quanto lunga, la descrizione del meraviglioso gadget. “Le lunghe ali rastremate erano pressoché invisibili, salvo quando la luce le colpiva sotto certi angoli rifrangendosi in tutti i colori dell’arcobaleno. Si aveva l’impressione che il piccolo e delicato aeromobile fosse racchiuso dentro una bolla di sapone, l’involucro che avvolgeva l’aerociclo era una pellicola organica dello spessore di poche molecole, ma tuttavia abbastanza robusta da controllare e dirigere i movimenti a una velocità di cinquanta chilometri orari. Il pilota che era anche fonte di energia e guida, era sistemato su un sellino al centro di gravità, in posizione semi reclinata per contrastare meglio la resistenza della barra che si poteva spostare avanti e indietro, a destra e a sinistra; l’unico strumento era un nastro con un peso, attaccato alla parte anteriore che serviva a indicare la direzione del vento”. Come si è arrivato fin qui, quale percorso dell’immaginario tecnologico ci ha condotto fin qui, chiudendo un cerchio? Il mistero della bicicletta di Jimmy vale quello di Rama, o forse sono lo stesso enigma e la risposta va cercata fuori dalla fantascienza, dove questa sta iniziando a seminarsi per poi trasformarsi nel nostro presente. Rama e i suoi esploratori ci raccontano la fine del predominio del genere letterario, proprio all’apice del suo splendore. Presto la scena sarà rubata da Guerre stellari (1977) di George Lucas, da Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) di Steven Spielberg e da Alien (1979) di Ridley Scott, che riassumono l’intero repertorio sciorinato dal decennio. Infatti, già la seconda metà dei Settanta vede affiorare segni di stanchezza anche tra i migliori autori, le nuove leve, pur valide (ad esempio John Varley, Joan Vinge, John Shirley e George Martin), non producono nulla in grado di fare la differenza e Rama con tutto il suo gigantesco armamentario, che include oltre mezzo secolo di classica fantascienza, meccanismi robotici (qui già cybernetic organism), rotte intergalattiche, missili nucleari, scontri/incontri tra civiltà galattiche, Rama, come un’arca stellare (anche questa è un’ipotesi presa in esame nel romanzo) dell’immaginario terrestre, si allontana definitivamente. “In meno di due ore la sua direzione aveva deviato di più di novanta gradi, e questa fu la prova decisiva, quasi sprezzante, del totale disinteresse nei riguardi di tutti i mondi che aveva coinvolto col suo ingresso nel sistema solare […]. Sebbene quella non potesse essere sicuramente la sua meta, puntava direttamente sulla più grande delle Nubi di Magellano, verso i solitari abissi al di là della Via Lattea”.
È inutile insistere, gli alieni sono imperscrutabili. Anche Ballard aveva scritto un racconto nel lontano 1962, The Watch-Towers (Essi ci guardano dalle torri, pubblicato in un’omonima antologia di racconti da Urania nel 1965, numero 371, e poi ritradotto più fedelmente come Le torri d’osservazione – Ballard, 2011), che metteva in scena la medesima frustrazione. Una visione in netto anticipo sui tempi, così come si dimostreranno lucide le intuizioni sparse nei racconti scritti a cavallo tra i Settanta e il nuovo decennio. Alcuni saranno pubblicati nel 1982 in un’antologia intitolata Myths of the Near Future che Urania presenta nell’estate del 1984 (n. 976) con un titolo fedele all’originale, Mitologie del prossimo futuro.
Tra i racconti che vi sono inclusi (Ballard, 2007), Zodiaco 2000 (uscito originariamente nel 1978 su Ambit con il titolo Zodiac 2000) sembra costituire la vera porta d’ingresso nel nuovo decennio, alle cui frontiere non premono più sogni spaziali, viaggi lisergici, sovversioni pubbliche e private, avventure dell’arte e ideali libertari. All’alba degli anni Ottanta prende forma l’inafferrabile perché mutevole concetto di post moderno, un blob che via via si incarna in varie concezioni dell’evoluzione del capitalismo. Si entra in quella che per diversi studiosi è l’epoca delle conclusioni, della fine della storia, delle grandi narrazioni, del senso, della realtà; è la società dominata dalle immagini, dalla moltiplicazione dei simulacri di rappresentazione. È l’alba del mondo globalizzato.
Al confine tra i due decenni, si trova il nuovo presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, lunga carriera di attore alle spalle – e anche quella di personaggio metaletterario nel racconto Perché voglio fottermi Ronald Reagan (Ballard, 2006), poi anche incluso in The Atrocity Exhibition, il romanzo più radicale di Ballard, uscito nel 1971 – e un futuro che gli assegna un ruolo di primo piano anche nell’evoluzione della science fiction, grazie al suo progetto di Scudo spaziale (ovvero la Strategic Defense Initiative) ipotizzato nel 1983. Sodale gli è la signora di ferro, Margaret Thatcher, autrice della prima guerra d’Occidente dopo il secondo conflitto mondiale, lo scontro con l’Argentina per il dominio delle isole dell’arcipelago Falkland/Malvinas svoltosi tra marzo e giugno 1982. Quando partì la controffensiva inglese, Newsweek titolò la prima pagina The Empire Strikes Back!, cioè “L'impero colpisce ancora!”, come il secondo episodio della saga di Guerre stellari. Lucas/Reagan/Thatcher, costellazione dominante e inedita cui fanno da eco le parole di Ballard poste in Zodiaco 2000 come Nota dell’autore: “Un aggiornamento dei segni dello zodiaco, per quanto modesto, era necessario da tempo. Le case del nostro firmamento psicologico non sono più abitate da arieti, capricorni e cancri, ma da elicotteri, missili Cruise, spirali intrauterine e da tutti gli spettri della guardia psichiatrica”. Gli anni Ottanta, in effetti, si presentano come il primo decennio dove il rapporto tra la finzione fantascientifica e la dimensione quotidiana si altera in profondità, si modifica.
La mutazione genetica temuta come effetto immediato sui possibili (quanto improbabili) sopravvissuti all’olocausto nucleare si sperimenta nei fatti, in gesti semplici come quello di fare la spesa, nel terrore di acquistare prodotti nocivi in seguito alla catastrofe del reattore di Chernobyl e al diffondersi della mucca pazza. È anche il tempo di una prima formidabile tecnologia applicata al tempo libero, il walkman della Sony, il nonno dell’iPod, di un oggetto trasfigurato nelle funzioni da segnatempo a segno del tempo, l’orologio, anzi la marca Swatch, della videomusica diffusa da MTV e della celebrazione estatica del corpo, sempre più ultra-corpo (mentre all’orizzonte andava profilandosi la sua smaterializzazione), basti pensare al modello proposto dall’attrice modella e cantante Grace Jones (si annoti: con Arnold Schwarzenegger). Sono i fenomeni che segnano questa fase prima ancora del cyberpunk, dei regni della connessione perpetua, dei neo romantici anti eroi di William Gibson (tutti ancora nell’orbita della narrativa d’anticipazione, ancora genuinamente letterari). Sono i mondi descritti in una manciata di racconti (che poi Urania pubblicherà nel 1989, nell’antologia La notte che bruciammo Chrome, n. 1.110) e nella trilogia di romanzi (Gibson, 2004, 1996) Neuromancer (Neuromante, 1984), Count Zero (Giù nel ciberspazio, 1986) e Monalisa Overdrive (Monna Lisa Cyberpunk, 1988). Le tecnologie mobile sono ancora un regno a venire e i guanti della prima virtualità oggi ci appaiono goffi come il robot Robbie de Il Pianeta proibito. Riassumendo, se Gibson e tutta la scuola cyberpunk che ne deriva – dal teorico e suo sodale Bruce Sterling al manifesto rappresentato dall’antologia Mirrorshades (Sterling, 2004) e agli autori più originali della corrente, come Lewis Shine e Rudy Rucker – sono il fenomeno letterario degli anni Ottanta, è però in questo piccolo racconto (e neanche il migliore) di Ballard che si codifica il vero passaggio epocale.
I nuovi segni zodiacali che suggerisce individuano oggetti/simboli di consumo quotidiano e altrettanti legati alle istituzioni, al potere, ripartendosi, grossomodo, equamente: polaroid, computer, cloni, spirale, radar, spogliarellista, psichiatra, psicopatico, ipodermica, vibratore, missile Cruise, astronauta.
Dentro queste dodici stanze, nell’ordine citato, Ballard sviluppa una delle sue tipiche storie di dissociazione, dove il tempo “privato” del protagonista produce allucinazioni e distorsioni della coscienza.
Come in Incontro con Rama, qui la trama conta davvero poco, anzi meno: la fuga forse artificiosa di un paziente da un manicomio, il suo coinvolgimento in un attentato terroristico con lo scopo di scatenare un conflitto nucleare, la relazione sessuale del fuggiasco con una terrorista, la morte di questa e dei suoi complici, il re-internamento del protagonista, il suo approdo al proprio spazio interno. È altrove che bisogna rivolgere lo sguardo. Laddove il manufatto alieno non si lasciava leggere, segno indecifrabile aperto all’interpretazione infinita per eccellenza, qui i segni rinascono nell’amplesso tra l’infinitamente lontano della tradizione astrologica e il perdutamente esteso del presente tecnologico. Non esistono più significati forti e deboli e neppure la rotazione dei poli che l’interpretazione consente, ma codici equivalenti e interscambiabili. Lo stesso racconto potrebbe partire da una qualsiasi delle case sotto le quali si snoda la pseudo trama, riproducendone simbolicamente (questa è l’abilità visionaria dell’autore) la medesima logica combinatoria. Negli anni seguenti Ballard, sempre vigile, ridurrà e poi abbandonerà la forma racconto trovando definitivamente nel romanzo il mezzo più idoneo per perlustrare i nuovi luoghi del consumo, dell’intrattenimento e del tempo libero dove albergano le psicopatologie, i fascismi e gli smarrimenti di fine e inizio millennio. La letteratura di fantascienza, a sua volta, “la tradizione letteraria più consistente del XX secolo […] la sua letteratura più autentica” (Ballard, 1999), inizierà a prendere il volo, come in un sessantottino racconto (in AA.VV., 2007) di Sladek (comparso per la prima volta sul numero 540 di Urania) fanno tutti i volumi delle biblioteche, innalzandosi all’improvviso senza alcun motivo a noi noto, agitando le pagine come ali dirigendosi verso l’ignoto. Gli investigatori ingaggiati non ci capiscono un’acca e fanno appena a tempo a sfilare dalla cartella il rapporto stilato in qualche modo, che questo a sua volta s’invola unendosi a un ultimo stormo.
LETTURE
— Ballard James, Fine millennio: istruzioni per l’uso, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 1999.
— Ballard James, Perché voglio fottermi Ronald Reagan, in Tutti i racconti 1963 – 1968, Fanucci, Roma, 2006.
— Ballard James, Zodiaco 2000, in Tutti i racconti 1969 – 1992, Fanucci, Roma, 2007.
— Ballard James, Le torri d’osservazione, in Tutti i racconti, 1956 – 1962, Fanucci, Roma, 2011.
— Clarke Arthur C., La sentinella, Net, Milano, 2004.
— Clarke Arthur C., Incontro con Rama, Mondadori, Milano, 2012.
— Ellison Harlan (a cura di), Dangerous Visions, Mondadori, Milano, 1991
— Gibson William, Monna Lisa Cyberpunk, in Tre romanzi cyber, Mondadori, Milano, 1996.
— Gibson William, Giù nel ciberspazio, in Tre romanzi cyber, Mondadori, Milano, 1996.
— Gibson William, Neuromante, Mondadori, Milano, 2003.
— Sladek John, Rapporto sulle migrazioni di materiale didattico, in AA.VV., Letture pericolose, Filema, Napoli, 2007.
— Sterling Bruce (a cura di) Mirroshades, Bompiani, Milano, 1994.
— Strugackij Arkadij e Boris, Picnic sul ciglio della strada, Marcos y Marcos, Milano, 2003.
VISIONI
— Kubrick Stanley, 2001: Odissea nello spazio, Warner Home Video, 2004.
— Lucas George, Guerre stellari, Episodio IV – Una nuova speranza, 20th Century Fox, 2006.
— Scott Ridley, Alien, 20th Century Fox Home Entertainment, 2001.
— Spielberg Steven, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Sony Pictures Home Entertainment, 2009.