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Bene: mi sembra che ci sia
abbastanza materia per unificare un filo che connette le dimensioni del romance borghese con i primi studi
psicanalitici e con la vicenda della narrativa fantastica novecentesca
nell’esprimere il bisogno di dispositivi che riproducano immagini e parvenze di
corpi: fisici, come gli ibridi di Moreau; virtuali come i fantasmi di Morel. E
riconoscere il macchinario che deve realizzare l’illusione faustiana di Morel.
Nasce dal discorso schizofrenico – che non ne sa riconoscere gli scopi, e ne
coglie solo il dolore (come le vittime di Moreau) – e dall’immaginazione
narrativa, che ne sottolinea gli aspetti visionari, ma si concretizza più tardi
nelle tecnologie applicate al laser
e nella televisione. Ed è, almeno su un versante, al
servizio della realizzazione dell’immortalità. Solo che, alla fine, qualcosa
non funziona per il verso giusto. Allora fermiamoci un attimo a riflettere sui
percorsi che abbiamo intrecciato. In questo pezzo di storia immaginaria delle
tecnologie – reali o fantastiche – applicate al corpo, abbiamo visto
intrecciarsi due sentieri. Uno è quello tutto biologico di Wells, che porta
direttamente alla dimensione del posthuman,
pur ribaltandosi: laddove l’illuso Moreau vuole trasformare animali in uomini,
si realizza alla fine il contrario, come in Cremaster
di Matthew Barney, giusto per fare un esempio.[10]
E sviluppa un ulteriore segmento sperimentando l’applicazione diretta delle
tecnologie “meccaniche” e dell’artificiale al corpo, come nelle performances di Stelarc o Orlan.[11] Poi c’è il percorso che si
catalizza con Bioy Casares, più evanescente se si vuole – e visionario – che
punta direttamente alla sparizione del
corpo fisico, sostituito dalla sua rappresentazione, simulazione, allusione. È
il percorso che era già del cinema, ma che diventa quello degli ologrammi e
della televisione per poi finire – per ora – con la realtà virtuale. Ma possiamo fermarci alla TV, e
tornare al tema dell’isola: nel suo format televisivo, L’isola
dei famosi. Sperimentiamo una bizzarra
percezione. Di averne già conosciuto i protagonisti. Ma non nella loro identità
di gente della televisione. Quanto in
quella di prigionieri dell’isola del Dr. Moreau, poi di quella di Morel,
mascherate da Club Mediterranée per
pensionati, quasi come in Cocaine Nights di J. G. Ballard[12].
Ma chi sono costoro? Bambini perduti, forse, e ora ritrovati
da grandi, dai cercatori di tesori per la TV, trasformati nel nostro caso in ghostbusters?
Come i personaggi del romanzo dell’amico di Borges, alla ricerca
dell’immortalità? Nel caso del romanzo, persone nel pieno della vita, destinati
a vedersela succhiare via per trasformarsi nelle effigie eterne di se stessi,
di cui però non potranno più godere, non avendo più sensi, né anima. Più
prosaicamente, nel caso dei nostri Famosi,
il percorso si svolge al contrario. Perché la TV è fatta ormai per l’effimero,
non assicura tempi lunghi, fagocita ed espelle – e in qualche caso ricicla: la
loro è la ricerca di una immortalità di ritorno, quella di personaggi in cerca di un corpo, nell’illusione – e neanche tanto –
che ormai solo i media possano fornirlo nella deriva delle tecnologie cyborg, virtuali, elettroniche… È
una dimensione un po’ necrofila, se si vuole, quella di quest’isola, che
davvero sembra riverberare le parole di Marx, in un senso molto più completo –
e profetico – di quanto si poteva immaginare qualche tempo fa. Sopravvissuti
alla Notte
dei morti viventi di Romero, che invece di nutrirsi dei
corpi dei vivi si nutrono delle emozioni dei telespettatori (un po’ come i
Notturni di Dark City di Proyas)
– o emuli al contrario degli immortali personaggi del Freaks di Browning?[13] Un’isola
dei morti, o dei dannati, di corpi e anime virtualizzati, condannati come
Sisifo a trasportare il peso di un’esserci sempre in bilico, sempre da
riconquistare, attraverso l’etere, grazie agli incantesimi dell’animatore e della vestale[14]
di turno, che fanno da tramite fra il mondo dell’isola e quello “vero”: quello
dello studio televisivo, quello degli schermi. Gli
schermi, scrive qualcuno, condividono la stessa natura degli specchi:
rimandano, ognuno a suo modo, l’immagine di colui che hanno di fronte.[15]
Che nel nostro caso abbia ancora ragione Borges, che fa dichiarare ad “… uno degli eresiarchi di Uqbar…” che “… gli specchi, e la copula, sono abominevoli, perché moltiplicano il numero degli uomini.”?[16] [10] Cfr. ancora Belpoliti, cit., ma anche L. Vergine e
G. Verzotti (a cura di), Il Bello e le
bestie Metamorfosi, artifici e ibridi dal mito all’immaginario scientifico,
Skira, Ginevra-Milano, 2004. [11] Cfr. Belpoliti, cit. [12] J. G. Ballard, Cocaine
Nights, Baldini & Castaldi, Milano, 1997. [13] G. A. Romero, La
notte dei morti viventi, USA, 1968; A. Proyas, Dark City, USA, 1998; T. Browning, Freaks, USA, 1932. [14] Nello specifico, Massimo Caputi e Simona Ventura,
come l’aidoru di Gibson, volti e
corpi fungibili ed effimeri: ricordate Max Headroom? [15] G. Pecchinenda, Dell’identità, Ipermedium, Napoli, pagg. 73 e segg. [16] J. L. Borges, Finzioni, Einaudi, Torino, 1974, pag. 7.
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