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L’atmosfera in cui Wells scrive
il suo romanzo è ancora quella del positivismo e della fede nella scienza, Nella sua follia richiama
addirittura Frankenstein – ma un Frankenstein dei parvenu borghesi, non degli aristocratici studiosi del passato
illuminista e neoclassici – anticipando così anche lui le sperimentazioni cyber
e posthuman
degli anni 80 – 90 del Novecento,[6]
a loro volta operazioni e performances
estremamente critiche nei confronti della società, ma anche dell’arte
istituzionale contemporanea. La vicenda umana di Moreau
finirà – come è giusto – in tragedia, mentre i suoi ibridi – liberati dal suo
giogo – pian piano torneranno alla loro condizione originaria, come è
testimoniato dall’unico superstite e spettaore casuale dei fatti. Che Morel sia un affine di
Moreau lo si capisce già dal nome, e dalla profonda e convinta frequentazione
dell’immaginario da parte di Bioy Casares e del suo grande amico, Borges. Diciamo che lo scrittore
argentino rielabora la favola tragica di Wells compiendo un passo laterale,
anche se logicamente successivo a quello del suo predecessore: la sperimentazione
si sposta sugli umani, con un obbiettivo decisamente più alto: se agli animali
si chiedeva di diventare uomini, agli uomini si chiede di diventare immortali. In epoca pre-cibernetica il
superamento dei limiti del corpo non può avere a che fare che con la vita in
sé, piuttosto che con il potenziamento o la mutazione del corpo. E d’altra
parte è troppo forte il legame dei due argentini con l’immaginario fantastico e
meraviglioso tradizionale per abbandonarlo. Un rapporto con la dimensione
moderna – “fantascientifica” – della tecnologia comunque c’è: quella che
costruisce Morel è comunque una macchina,
che trae energia dal ritmo delle maree, e a queste è legata nel suo
funzionamento, nella riproduzione periodica dei gesti, delle azioni, delle
parole di coloro che ha imprigionato in una immortalità priva di vita.
A dire il vero, la TV aveva già
dato dimostrazioni pubbliche della sua esistenza nel 1926 e poi di nuovo nel
1936, ma solo nel 1946 cominceranno le prime vere trasmissioni. L’olografia è
sicuramente successiva al romanzo dell’argentino: nasce nel 1948. Invece, nel caso dello scritto
di Tausk – e questo, sì, Bioy Casares poteva averlo presente, vale la pena di
citarne qualche riga: "L’apparato
influenzatore nella schizofrenia è una macchina di natura mistica… Esso
consiste di casse, manovelle, leve, ruote, tasti, fili, batterie e simili…tutte
le forze naturali che stanno al servizio della tecnica vengono adoperate per la
spiegazione del funzionamento della macchina… Fa vedere le immagini… Produce e
sottrae pensieri e sentimenti…".[9]
[6] M. Belpoliti, Crolli,
Torino, Einaudi, 2005. [7] Penso a Eva futura di Villiers de l’Isle Adam e Il castello nei Carpazi, di Verne, che
mettono addirittura in scena marchingegni che sembrano già cinematografi:
macchine che permettono la proiezione di immagini su uno schermo o su un telo,
e prima di queste a opere che partecipavano ancora del clima “pre-scientifico”
della prima modernità, quello che avrebbe fatto contemplare “con muta
meraviglia”, come scrive Villiers de l’Isle del suo personaggio, la “magia”
della proiezione sullo schermo: Il sogno di
Mary Shelley, Il racconto dello specchio
misterioso di Walter Scott, La catena
del destino di Bram Stoker. Cfr. L. Albano, La caverna dei giganti, Pratiche, Parma, 1992. [8] Cfr. in R. Fliess (a cura di), Letture di psicoanalisi, Boringhieri,
Torino, 1972, V. Tausk, Origine della
“macchina influenzatrice” in schizofrenia del 1919. [9] Fliess, cit., pagg. 58-59.
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