L'Androide postfordista: corpi artificiali e lavoro flessibile
di Carmine Treanni

 


Un intero filone della fantascienza classica parla di robot, descrive le «visioni» dei robot o i loro conflitti con l’umano. Il cyberpunk invece parla di un universo molto simile al nostro, in cui le macchine non si sono rese autonome, ma si sono incardinate nella carne degli uomini”[9].

 

 

Di fatto, l’androide può essere sia artificiale sia organico. È, comunque, un essere che – al di là della sua origine - presenta una principale e fondante caratteristica: è indistinguibile dall’essere umano, pur non essendo tale. O meglio, pur non essendo stato generato come tutti gli esseri umani.  In particolare, l’androide sembra una perfetta metafora del lavoratore atipico, postfordista e postindustriale, che, pur aspirando a diventare un lavoratore dipendente, di fatto non gode degli stessi diritti di quest’ultimo.

Blade Runner (1982), il film di Ridley Scott tratto dal romanzo di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche? è quanto di più visivamente esemplificativo esiste nell’immaginario cinematografico per descrivere lo scenario globalizzato e postindustriale. Blade Runner sta a noi come Tempi Moderni di Chaplin sta all’operaio fordista.

Scrive Domenico Gallo:

 

“In Blade Runner ci troviamo di fronte alla possibilità di usare fruttuosamente le categorie marxiane per analizzare alcune funzioni dei personaggi. Ogni sistema a regime capitalistico, anche se immaginario e collocato nel futuro, si struttura secondo una precisa organizzazione. Il mondo ideato da Ridley Scott è sviluppato con coerenza, e non sfugge a questa descrizione. Figura centrale è il replicante, prodotto nei modelli da combattimento o da piacere, il cui corpo si presenta assolutamente deificato. Come l’operaio marxiano, anche il replicante ripone la sua attività nell’oggetto prodotto, cioè la merce prodotta dal proprio corpo: il piacere e la guerra. Essendo il corpo-merce qualcosa che deve esistere indipendentemente da colui che lo produce, si verifica così che la vita si contrapponga all’essere vivente come estranea. La lotta degli angeli ribelli contro il creatore è proprio una lotta di classe per riappropriarsi dell’oggetto del lavoro: nel loro caso il corpo stesso”[10].

 

 

Il capitalismo flessibile è segnato, quindi, da disorientamento, ansia e angoscia. A Dick (come scrittore) non dispiacerebbe l’idea che siamo tutti finiti in uno scenario tipico di tante sue storie, in cui a poco a poco tutti gli esseri umani vengono mutati in androidi per un solo scopo: lavorare di più, con flessibilità, agiti da individualismo e competitività, mentre declina inarrestabilmente la memoria della solidarietà e dell’organizzazione dei lavoratori, ricordi che svaniscono… come lacrime nella pioggia, mentre a noi umani resta il titolo di un video/film girato in piena ascesa del postmoderno (1986): Fuck your dreams, this is heaven. Non occorre tradurre.


 

 


[9] Fabio Giovannini, Cyberpunk e platterpunk – Guida a due culture di fine millennio, Datanews Editrice, Roma 1992

 

 

 

[10] Domenico Gallo, La nuova carne – Il corpo anni Novanta del Cyberpunk, in “Alphaville” n. 1, Telemaco, Bologna 1992

 

 

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