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Taylor si propone, quindi, di razionalizzare il
lavoro: si osserva attentamente ogni singolo movimento dell’operaio, lo si
scompone, misura, razionalizza ed infine lo si ricompone, dopo aver fissato un
tempo teorico di esecuzione[2]. Il
lavoro, secondo Taylor, diviene quindi una variabile misurabile e prevedibile e
l’operaio niente di più di un robot, un servomeccanismo – diremmo oggi – da
programmare per un determinato lavoro. Nel 1913, l’imprenditore
Henry Ford perfezionava il taylorismo, adottando nel suo
stabilimento di Highland Park a Detroit l’assembly
line, ovvero la catena di montaggio semovente, realizzando la prima
esperienza di produzione in serie che si concretizzò nella costruzione del
celebre Modello T, l’automobile che
segnò l’inizio del consumo di massa[3].
La catena di montaggio è esemplificata da un
gigantesco nastro trasportatore, ai lati del quale gli operai lavorano,
montando i pezzi ad uno ad uno in modo da ottenere il prodotto finito alla fine
della catena. Ogni operaio è impiegato in un solo compito. La produzione in serie permise di produrre grandi
quantità di merci in poco tempo, abbassando così i costi di produzione e
aumentava i salari al punto da rendere acquirenti/consumatori gli stessi
operai. Il “fordismo” divenne così sinonimo di un sistema
produttivo basato sulla catena di montaggio e questa inesorabilmente: “finisce
per rappresentare la metafora dell'officina, dell'azienda, dell'intera società.
Il mercato si è allargato progressivamente fino a diventare planetario”[4]. Il
Cyborg e il postfordismo Sul
finire dei Sessanta, però, il modello fordista entrò in crisi per intrinseci e
naturali limiti, che emersero in concomitanza con due eventi economici: §
- una decisa diminuzione della domanda interna dell’America
che cominciò negli anni Sessanta ad esportare i propri prodotti in Europa,
legando di fatto le due economie; §
- lo scoppio del conflitto arabo-israeliano del '73, che
provocò un aumento del 70% del prezzo del petrolio greggio e dei gas naturali
determinando la crisi petrolifera degli anni Settanta. In
parallelo, un nuovo fenomeno investe le civiltà capitalistiche dell’Occidente: il consumo opulento[5].
Nel sistema fordista produzione e consumo erano ben distinti. La sfera della produzione riguardava la scienza e la tecnologia, quella del consumo i bisogni. Data l’esponenziale variabilità della domanda, i bisogni dei consumatori “invadono” sempre più la sfera della produzione, che diviene più personalizzata e rispondente ai gusti e alle esigenze dei target/clienti. A sua volta la scienza “invade” sempre più la sfera del consumo. Nasce così, da queste premesse, il fenomeno definito consumo opulento. Con questo termine si intende la creazione di bisogni in grado di assorbire la grande capacità produttiva dell’economia fordista[6].
L’incremento della produzione, in questo modo, non serve più a soddisfare bisogni primari - cibo, case, vestiti - ma le richieste pressanti di bisogni secondari - automobili di grande cilindrata, abiti eleganti ecc. Il consumo di tali beni risulta collegato al prestigio sociale che conferisce ai consumatori, soddisfazione primaria e fondante di un immaginario del consumo evolutosi col tempo. A connettere stabilmente produzione e consumo ci pensa l’informatica, che contribuisce a rivoluzionare radicalmente l’organizzazione e la logistica dell’azienda. Nascono modelli alternativi alla rigida divisione del lavoro, alla fabbrica-castello, privilegiando relazioni di tipo orizzontale (paritarie) a relazioni di tipo verticale (gerarchiche).
La sostanziale differenza tra
fordismo e postfordismo è che il primo era caratterizzato dalla centralità
della fabbrica, il secondo, invece, vede la centralità dell’impresa. Un nuovo
assetto che rende obsoleta anche la storica linea di demarcazione tra lavoro
manuale e lavoro intellettuale. Il Cyborg è la perfetta immagine di questa
realtà sociale ed economica, dove macchina – intesa come computer - e uomo
tendono a contaminarsi, quasi a fondersi, per creare un nuovo tipo di
lavoratore.
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