Poiché infatti fu la Cura
che per prima diede forma all’uomo,
la Cura lo possieda
finché esso viva
Igino
“L’oggi è prodigo, ma il domani
lo sarà ancor di più” augura una
scritta che un vecchio arabo ricurvo, dallo sguardo solenne e dalla
barba caprina, sta incidendo su una tavola di legno, destinata a
rimanere adagiata accanto a una barca malandata, in questo suggestivo
cantiere di Manama, cuore stancamente pulsante delle tradizioni
dell’antico Bahrein, perla del golfo Persico. È
il gennaio del 2003 e in questo posto surreale il tempo sembra essere
sospeso tra la nostalgia del mitico passato e la paura della prepotente
modernità. Animando le immagini della fine di
un’era, che sono sempre metafore di ciò che
resiste alla sua stessa distruzione, ancora operano laboriosamente
uomini apparentemente ignari che, di qui a qualche giorno, il loro
lavoro verrà spazzato via dall’ordine di sgombero,
affinché siano costruiti nuovi, grandiosi spazi per un
turismo, spettatore autoreferenziale, richiamato qui per venire ormai
ad ammirare solo se stesso. Un turismo smarrito in un perturbante
esotismo, fatto di profumi inebrianti e suoni stranianti, che, nel
tentativo di orientamento, finisce per riconoscersi nel rassicurante,
fantasmagorico anonimato di “nonluoghi”
(Augé, 1993, passim) identici a quelli
che animano l’attuale consuetudine del proprio paese, aree
funzionali, obbedienti agli imperativi del consumo e interpreti dei
nuovi rapporti con un ambiente esistente in virtù
dell’immaginario che evoca. Il non luogo
è il contrario del luogo e colui che lo attraversa non
può leggere nulla né della propria
identità, né della storia comune che lo lega agli
altri (cfr. Id., 1999, p. 75). È il contrario della spiaggia
di Manama, cosparsa dei tradizionali vascelli, echi della suggestione
di certe fotografie, come quelle in bianco e nero lievemente virate in
seppia di Sir Wilfred Thesiger, che nei suoi diari di viaggio ha
catturato un mondo ormai quasi completamente scomparso, riproducendo,
con metafore visuali e con prosa raffinata, il richiamo estetico e
romantico di quello che un tempo era il lontano non conosciuto e il
senso avvolgente e inquietante della primordiale solitudine vissuta
all’ombra delle dune. Il non luogo è il luogo
della liminalità, dove il confine segna sia il passaggio dal
mondo abitato alla landa desolata, che evoca racconti incantati di
percorsi compiuti fuori dalla storia, di itinerari interiori che
scavano i solchi tracciati dal deserto sull’animo di chi lo
sfida, sia la soglia tra il vecchio e il nuovo, il passato e
l’avvenire, la storia e il futuribile. Il non luogo infatti
è anche un tessuto urbano assalito e sconvolto dalla
riorganizzazione del consumo, che infligge lussuose condanne alla folla
solitaria dei megastore e che provoca un rutilante senso di spaesamento
tra un trascorso senza traccia e un inedito presente. Lo spirito del
suk, arredato con oggetti caratteristici e tessuti variopinti, si
ibrida con il mondo delle stoffe pregiate e del mobilio costoso,
riproponendo la dedalica profusione delle merci disseminate lungo le
viuzze del centro antico nella magnificenza dei centri commerciali,
nella sontuosità dell’esposizione e nel fasto
delle vetrine, traducendo la tradizione e facendo assumere alla calda
suggestione dell’antica arte decorativa la fredda potenza
della moderna strumentazione tecnologica.
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