C ostruire la propria vita, un saggio di
Ulrich Beck del 1997 colpevolmente pubblicato in italiano solo nel
2008, al di là del titolo che potrebbe far pensare ad uno di
quei manuali di “autoaiuto” a cavallo fra la New
Age e la preparazione ai concorsi pubblici, rivela una
controtendenza rispetto alla riflessione sociologica degli ultimi anni
sulla percezione del proprio rapporto col reale da parte degli abitanti
della tarda modernità. Dopo decine di saggi sulla
“perdita della prospettiva” del futuro,
sull’infantilizzazione e la deresponsabilizzazione che
sembravano caratterizzare gli individui della fine del Novecento,
schiacciati dalla “fatica di essere se stessi” di
cui scrive Alain Ehrenberg, Beck scrive che si afferma un nuovo modo di
affrontare il rapporto fra il sé, il mondo sociale, il
proprio progetto di vita; quasi, forse, l’ingresso in una
nuova dimensione antropologica: il desiderio di costruirsi
“una vita propria”, unica, irripetibile, scelta e
progettata in proprio. Un desiderio di
“protagonismo” che può sembrare
ottimistico, ma che possiamo pensare nasconda una faccia oscura:
l’idea che, se non si riesce nell’impresa, questo
non sia anche frutto delle condizioni storico-sociali della nostra
epoca – e quindi dei processi connessi alla globalizzazione,
ad esempio – come scrive anche Beck, ma che le cause del
fallimento dei propri propositi siano tutte individuali, endogene,
insomma dei tratti e dei caratteri della nostra inadeguatezza
personale. Ma questo fenomeno, ammesso che sia vero, dove relegherebbe
il Mito? Ne segnerebbe la totale scomparsa dalle nostre vite e dal
nostro orizzonte? O lo riposizionerebbe altrove? Magari nella
percezione che ne abbiamo ne rafforzerebbe addirittura lo statuto,
spogliandolo delle ultime connotazioni magiche. Forse, in
quest’idea di “far-da-sé”
esistenziale c’è proprio
l’incorporazione del mito in se stessi, come protagonisti
ineffabili del proprio progetto. Forse è in questo sentire
la ragione della forza di tanti film sul controllo del futuro, da Minority
Report a Next, o di serial come Flash
Forward… oppure è nei sentieri poco
avventurosi seguiti dal consumatore/bricoleur, artefice del proprio
destino che realizza e disfa quotidianamente nel gioco dello shopping.
O, forse, si tratta delle due facce della stessa medaglia. Allora
acquista senso rilanciare i canali che lo hanno salvato e disseminato
durante la modernità, i canali dell’immaginario
collettivo: i media, la fiction, gli eroi dell’immaginazione. |
Come Tarzan, ad esempio, ma anche come tanti
“antieroi” del cinema, del romanzo, del fumetto
– forse molto più simili come condizione ai
sostenitori di una vita autocostruita, tanto vicini però
alla fin fine alla protagonista di una vignetta di Altan, la bambina
che rivolgendosi alla mamma le dice:
“Mamma, mamma,
c’ho la calda ansia di vivere!”, per sentirsi
rispondere: “Troppo tardi, piccina, non s’ha
più diritto al lusso…”.
La
corrente dell’immaginario e le strutture degli universi
simbolici accelerano, insomma, e offrono un panorama in continua
mutazione, sopra cui queste pagine spesso divagano, incrociando temi
laterali e intrufolandosi in scenari talvolta inquietanti, minacciosi,
poco rassicuranti. Un topo ci mette in guardia da un virus capace di
essere anche mortale. Un morto ci invita a privilegiare un gestore
telefonico per una comunicazione easy e conveniente a distanza. La
più grande cantante italiana, dopo anni e anni di assenza in
tivù, ricompare in video, ma solo in audio, per declamare
stolide elegie di una pasta nostrana, i Fratelli d’Italia transmigrano
in sorelle per vendere calze di ogni tipo e colore. Topo Gigio, Mike
Bongiorno, Mina, Mameli, ibridazioni che stanno alterando (sicuramente
un paradosso) le mutazioni da tempo in atto tra le pieghe
dell’immaginario. Insomma, gli eventi – mediatici,
culturali, sociali – acquistano velocità e
metamorfizzano. Anche Quaderni d’Altri Tempi cambia e a
questo punto, parliamo di noi e così la classica riflessione
di Orientamenti termina qui. Parliamo di noi
perché, a partire dal prossimo numero, il primo del 2010,
Quaderni d’Altri Tempi presenterà delle
novità. Si cambia poiché, spesso, la portata
degli oggetti culturali che cadono sotto i nostri sensi è
tale da spingerci a dedicarvi più spazio di quello che
finora abbiamo potuto – voluto – investire per
raccontarli, come nel caso delle recensioni. Preferiamo allora
abolirle, e integrarle/trasformarle/importarle in Bussole,
dedicando a questa sezione più spazio, ma incorporando nei
componenti che ne fanno parte le proposte di riflessione che
emergono/urgono dal contatto con gli oggetti della cultura che si
affacciano al panorama del mercato culturale. Non più quindi
solo oggetti che vivono su un supporto materiale (cd, libri, dvd), ma
anche occasioni più evanescenti, “a
tempo”: film nelle sale, mostre, concerti, spot, telefilm in
corso, pubblicazioni da edicola, ecc. La mission rimane
la stessa, però. Continuano a interessarci gli intrecci, i
luoghi dove si incrociano le traiettorie della vita quotidiana con
quelle dell’immaginario, o – il che è lo
stesso – dove le produzioni estetiche incrociano quelle
critiche. Perché, se spesso i prodotti dell’arte
– film, racconti, immagini – presentano situazioni
e figure che valgono più di un saggio di sociologia,
così la ricerca e i suoi frutti non sono estranei alle
dimensioni dell’estetica e della narratività.
Anzi, forzando forse la mano, potremmo sostenere che tutta la cultura
ha in sé una dimensione profondamente narrativa. E noi
cerchiamo di narrare i frammenti di cui è fatta la
realtà in cui abitiamo. Continueremo a farlo anche con una
veste grafica in parte ripensata per essere adeguata al compito,
mantenendo eleganza e funzionalità e sposteremo le uscite
dalla metà alla fine del mese. Fine
dell’anteprima, l’avventura continua.
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