La
macchinetta del caffè è visibile, non nasconde
nulla, non ha ingranaggi, pezzi chiusi in un sistema di viti e di
rondelle, non ha catene né motori. È
semplicemente fatta di tre pezzi di alluminio (anche una guarnizione di
gomma certo), e mostra di sé quanto ha da dire. La scala
mobile si nasconde, scende dabbasso, il corrimano scompare nella voluta
della conclusione della scala, diventa sottosuolo, elemento circa il
quale interrogarsi perché invisibile. Ma in quanti si
chiedono, nel quotidiano, del funzionamento della scala mobile? Questa
è la domanda principale sebbene sia una domanda scontata.
Tuttavia è un po’ il succo di quello che Max Weber
ha definito come il disincanto del mondo (M. Weber,
1917). Ossia l’uomo è talmente immerso in un
sistema di meccanismi complessi e da lui distanti che non si chiede del
perché e del per come del loro funzionamento, e tuttavia li
utilizza in maniera appropriata quanto più non potrebbe.
Disincanto significa (tra le altre cose) che non
c’è bisogno di chiedersi e di avere le competenze
circa la riproduzione e il funzionamento interno degli strumenti
utilizzati, c’è qualcuno che lo fa per noi,
qualche specialista nascosto all’interno delle numerosissime
maglie di un sistema produttivo pervasivo che si chiama capitalismo, o
tardo capitalismo (immateriale, liquido etc. etc. si direbbe adesso)
per utilizzare una definizione più attuale e condivisa. A
questo si accompagnerebbe una necessaria tendenza
all’abbandono degli antichi impianti di spiegazione del reale
magico-animistici, con la conseguente secolarizzazione dei diversi
imperativi religiosi. Alla base della questione del disincanto del
mondo sta però anche un tratto che non è poi
troppo sottile, e che sembra dare ragione a fantomatiche teorie
profetizzanti una inevitabile, necessaria omeostasi generale del senso.
Si parla di un periodo in cui al disincanto fa da sfondo una sorta di
silenzioso reincanto, un movimento verso il quale si sarebbe riportati
alla necessità di scoprire il perché delle cose
quotidiane, il per come di queste stesse cose. Come a dire che per un
po’ il disincanto ha retto, ma che la sua
pervasività estrema e onnicomprensiva non ha fatto altro che
negare se stessa, imponendo il moto contrario di domande quotidiane e
di risposte del singolo. A questo proposito si ascolti ancora Weber, lo
si faccia per un attimo. Il disincanto del mondo sta dalla stessa parte
della tensione testimoniata dal paradosso di Zenone. Se si vive in un
mondo in cui la produzione specializzata degli strumenti che permettono
la riproduzione della realtà non fa altro che raccontare di
una razionalizzazione sempre crescente, è vero, lo si
conceda, anche il contrario. È lo stesso Weber a sostenerlo
quando ci parla, per esempio, delle sue forme di legittimazione del
potere. Senza voler scadere in una presentazione pedissequa di una
teorizzazione risaputa, si ricordi di come esistano tre forme per cui
il potere si mostra come tale davanti alla realtà: quella
tradizionale, quella legal-razionale, quella carismatica.
|