...e se la tartaruga di Zenone avesse preso la scala mobile? | di Livio Santoro | |
I paradossi di Zenone, in generale, considerano due grandi gruppi di argomenti: quelli contro l’ipotesi del movimento e quelli contro l’ipotesi della pluralità. I paradossi del giavellotto e dello stadio e di Achille e della tartaruga fanno parte degli argomenti contro l’ipotesi del movimento. I paradossi sono argomenti fatti per confutare Eraclito e la reale, concreta possibilità del movimento: lo spazio suddivisibile all’infinito non può essere percorso nel tempo in tutte le sue innumerevoli parti. Jorge Luis Borges ha scritto: “Zenone è incontestabile, a meno che non confessiamo la natura ideale dello spazio e del tempo. Accettiamo l’idealismo, accettiamo la crescita concreta di quanto percepiamo, ed eluderemo il pullulare di abissi del paradosso” (1932, p. 114). E sì che il paradosso è forse uno degli strumenti più affascinanti del pensiero occidentale, perché fa aggrottare le sopracciglia. È abissale, come dice Borges, perché mette l’uomo davanti ad un interrogativo tanto banale quanto faticoso. Appartiene a quella lotta costante tra razionalismo ed idealismo dalla quale sono nate tutte le idee e tutte quelle cose che ci stanno intorno talvolta anche troppo silenziosamente. | ||
Ma si
faccia adesso un piccolo passo indietro, si ritorni alla questione
della scala mobile. Il corrimano si muove più velocemente
della scala, e questo è un fatto. Zenone ne trarrebbe,
più o meno, le siffatte conclusioni: il punto in cui poggia
il mio gomito non riuscirà mai a raggiungere il punto della
scala su cui poggiano i miei piedi in quanto, per farlo, avrebbe da
percorrere prima la distanza equivalente alla metà degli
scalini, ma prima ancora la metà, e la metà della
metà, e così all’infinito. Per questo
motivo il corrimano della scala non sarebbe altro che un nastro
infinito che continua a ruotare facilitando gli interrogativi abissali
degli assonnati pendolari. | ||
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