C’è la miseria,
c’è il vagabondaggio della gente che non sa dove
è che deve andare, ci sono i terremoti e gli incendi, ma
c’è anche il sorriso di una miss,
l’allegria goliardica delle ragazzine da sfilata, ci sono le
pagine dei giornali, c’è la potenza verticale
delle città statunitensi, e c’è,
naturalmente, un mondo intero. E questo non fa altro che spostare il
fuoco dell’attenzione dall’attrice, dalla bambina,
a quel mondo in cui l’attrice e la bambina sono nate e
cresciute. E la commozione dovuta ad una storia triste, appartiene non
più a quel solo personaggio, ma appartiene ad
un’epoca che ha saputo fare della bellezza un concetto
estraneo a ciò per cui è stato creato.
“Tra te e la tua bellezza si mise tutta la
stupidità e la crudeltà del presente”
dice Pasolini, ed è qui che è racchiusa la
concezione di un’epoca che utilizza il personaggio, che
tratteggia il suo profilo come fosse un burattinaio che non ha
scrupoli, perché di scrupoli, quando si tratta di cose che
devono accadere inevitabilmente, non ne esistono e non ne possono di
certo esistere. Marilyn appartiene al Novecento, vi appartiene in
quanto è suo strumento, passivo coacervo
dell’essenza febbrile di un secolo.
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— Pier Paolo Pasolini, 1962, Mamma Roma, Arco Film.
— Pier Paolo Pasolini e Giovanni Guareschi, 1963, La Rabbia, Opus Film. | ||