È un’altra Marilyn questa, non
è né quella patinata dei rotocalchi degli anni
cinquanta, né quella rifrangente
dell’interpretazione artistica warholiana. È una
Marilyn vista dalle spalle, che quasi cammina a piedi nudi nel fango,
bambina, inconsapevole, decisamente umana. E questo al di là
delle semplici, buoniste sensazioni di una massa di lacrime melense. Al
di là delle ricostruzioni d’effetto che stimolano
il magone, i buoni sentimenti. No, non è niente che ha a che
fare con quell’immagine a metà strada tra il
paternalismo, la filantropia e il giudizio dal sapore vagamente
parrocchiale.
Ma Pasolini ha visto veramente Marilyn, non l’ha
semplicemente guardata attraverso la lente focale di uno spettro di
colori. Marilyn, allora, non sarebbe mai stata l’icona di
un’era pop, forse meglio si sarebbe adattata, invece, ad un
più tiepido e prudente sguardo neorealista.
Non che Marilyn non sia quella di Warhol, ma certamente
l’incoscienza della sorellina minore stride con una trionfale
discesa della scalinata in abito rosa, con lo strizzare d’un
occhio ad un consesso di operai sudati in un cantiere. Forse in Italia
sarebbe rimasta Norma Jean, sicuramente per Pasolini è stato
così. Quasi come se Anna Magnani in Mamma Roma
(1962), avesse potuto adottare una figlia, metterla a fianco di Ettore,
e farle vedere la crudeltà dei giochi del fratello e degli
amici. E sì che quello stesso Ettore era una vittima.
Ma è una visione differente delle cose, una visione
che si fa forte di una tradizione cinematografica diversa, di un
sistema produttivo ed economico che non è lo stesso, questo
è certo, tuttavia ci sono delle cose, che per quanto le si
possa girare e rigirare, per quanto si cerchi di vederle da una parte
oppure dall’altra, rimangono sempre le stesse. E una di
queste cose è senza dubbio la bellezza. Perché la
bellezza è sempre la stessa, che ci sia un oceano di mezzo,
che la leggano i colori di un artista allucinato, che la dicano le
parole di un poeta.
Si provi ad immaginare cosa avrebbero potuto dire, tra loro,
Pasolini e Warhol di Marilyn, magari bevendo un tè seduti
allo stesso tavolo. Forse, avrebbero parlato di niente.
Pasolini presenta Marilyn ne La Rabbia (Pasolini, Guareschi 1963) ad un anno dalla morte
dell’attrice. Tra le odi recitate nel documentario dalle voci
di Renato Guttuso e di Giorgio Bassani, c’è quella
dedicata a Marilyn. E l’accompagnano immagini che non sono
certo solo quelle dello sfarzo. |