Potremmo dire che il sentiero che
l’umanità ha percorso per creare artificialmente
la vita è iniziato con Pigmalione, il personaggio di cui
narra Ovidio (pagg. 243-297), scultore devoto alla sua arte a tal punto
da rinunciare al matrimonio perché secondo lui nessuna donna
poteva eguagliare in bellezza le forme femminili che egli stesso era
capace di modellare. L’amore di Pigmalione per la sua statua
rimanda al romanzo Aidoru di William Gibson, dove
un uomo in carne ed ossa sposa una donna virtuale, quindi in un certo
senso un nessuno, un puro simulacro, la versione postmoderna della
statua di Pigmalione. È l’aidoru,
l’idolo, che la tecnologia riesce a far emergere dalle pieghe
del vuoto. Fisica e informatica ci hanno insegnato che questo
può essere fatto, e che prima o poi sarà fatto.
L’aidoru del romanzo di Gibson
è un costrutto di simulazione, un insieme di componenti
software, la creazione di progettisti informatici, ma al tempo stesso un’architettura
di desideri che esercita in modo stupendo il potere della
seduzione. Il mondo delle meraviglie virtuali che
Gibson ci svela differisce solo per pochissimi particolari da quello in
cui noi già viviamo: è come se fosse solo di
qualche anno nel futuro, anzi, nel futuro dell’anno
in cui lo scrisse. La favola di Aidoru ha
le sue radici storiche profonde nel lontano 1956, quando un manipolo di
scienziati delineò un programma di ricerca divenuto celebre
con il nome di A.I. (Intelligenza Artificiale). Come avevano detto:
“Dateci una descrizione di un qualsiasi
comportamento umano e saremo capaci di simularlo con una
macchina” (Grazia). |
Il virtuale non è una
mera illusione; non costituisce il contrario di ciò che
è reale, è piuttosto l’opposto di
ciò che è attuale. È quel modo della
realtà che è colto dalla frase
“già e non ancora”. Come il seme
(già) ha in sé la capacità
dell’albero (non ancora). Oggetti di fama
e di culto propri della nostra società sono corpi statuari,
muscolosi per l’uomo, formosi per la donna. Cartelloni
pubblicitari, spot televisivi, giornali, riviste, tutte raffiguranti
corpi. Corpi da capogiro, perfetti tanto da non sembrare veri. Tanto da
generare un interrogativo cruciale: dietro questa grande mostra del
corpo cosa si cela di reale e cosa è solo finzione? Il
corpo è, esiste al di là dell’immagine
che noi percepiamo di esso. In fondo ne è un esempio il
dramma di Narciso: l’impossibilità del corpo di
afferrare la propria immagine. Con l’avvento delle tecnologie
e della virtualità che hanno esteso al massimo le nostre
facoltà percettive, il corpo umano inizia a sentirsi
inadeguato. È l’era della ricerca ossessiva della
perfezione, di pozioni che fungono da elisir di lunga vita, pozioni che
ti fanno bella. Riviste, spettacoli televisivi si arricchiscono
giornalmente su tali illusioni. In sintesi, oggi il corpo è
in continuo divenire. Chirurgia plastica, tatuaggi, piercing,
prolungamenti per capelli: oggi il corpo può essere
cambiato. Il mito del corpo reale è stato soppiantato dal
mito del corpo virtuale. (Cappucci, 1994). Donne
sintetiche/sintesi della donna, le digital beauties
rischiano di sostituirsi alle realtà delle donne
contemporanee.
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