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Oltre alle
testimonianze dirette delle vittime della
guerra, a
volte si fa uso del cinema per poter raccontare avvenimenti tragici
trascurati dai new media. La narrazione
cinematografica ci confronta
inevitabilmente con un mercato molto competitivo, e in nome del
“guadagno al botteghino” spesso sacrifica
l’intento divulgativo
edulcorando la realtà che si era prefissa di raccontare, o
ponendola
sullo sfondo in modo da farla apparire subordinata alle vicende dei
protagonisti. Riprendendo in esame il conflitto
ruandese, secondo lei
quanto il film Hotel Rwanda riesce a restituire
della reale
portata del conflitto? E in generale può
il cinema
affiancarsi alla
storia orale nel tentativo della diffusione della conoscenza di
conflitti dimenticati? Non so quanto la
realtà rappresentata nel film Hotel Rwanda sia
stata sacrificata nel nome del “guadagno al
botteghino”, ma penso che
questo film è molto importante essendo stato girato sulla
base dei
fatti realmente accaduti. Il film ci fa vedere che
anche lì
ci sono
state persone che si sono attivamente opposte al genocidio. L’arte,
e
in special modo la cinematografia, ha un ruolo molto importante quando
si tratta di diffondere la coscienza di conflitti dimenticati,
soprattutto quando usa come spunto i fatti realmente accaduti. Anche
il
film Schindler’s List, diretto da Steven
Spielberg, ha tentato
di fare la stessa cosa e così ha confermato che la
cinematografia può
essere fondamentale per raccontare e divulgare tutti quegli avvenimenti
tragici che molte volte vengono trascurati dai media.
Che ruolo gioca internet nella divulgazione di
informazioni su
guerre e conflitti passati in secondo piano da televisioni e giornali?
Si pensi ai blog o ai siti come Youtube che trasformano tutti in
produttori di informazioni… Il ruolo che
oggi ha internet è
enorme e ci permette di accedere a una svariata fonte
d’informazioni.
Ma la domanda che ci dobbiamo porre è quanto può
essere utile internet
per divulgare le informazioni nei paesi che sono in guerra:
Afghanistan, Iraq, Palestina, Kashmir, Pakistan. Internet era presente
anche negli anni Novanta ma durante le guerre jugoslave è
stato
sfruttato poco.
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La
circostanza
che colpisce sempre, quando si
scatenano conflitti
che mettono l’una contro l’altra persone che fino
ad un giorno prima
erano abituate a convivere pacificamente, è la modifica
profonda di
tratti che facevano parte e definivano la loro identità
– individuale,
sociale, collettiva. Quali crede siano i meccanismi che permettono
queste derive? Quando si dice
“fino ad un giorno prima”
generalmente pensiamo che in un lasso di tempo molto breve è
avvenuto
un improvviso e brusco cambiamento. Verso la fine degli anni Ottanta
vivevo a Belgrado e sono stata una testimone diretta di come,
gradualmente e sistematicamente, i politici nazionalisti, servendosi
dei media, inculcavano la paura fra gli appartenenti dei singoli gruppi
etnici. I media erano il mezzo ideale per raggiungere il famoso scopo
di Goebbels: “ripetere una bugia cento, mille, un milione di
volte e
diventerà una verità”. E questa
manipolazione del popolo è iniziata
almeno cinque anni prima che le fanfare di guerra iniziassero a
strombettare. Le rappresentazioni semplificate dei conflitti tra i
gruppi etno-nazionali, in qualsiasi parte del mondo, riducono tutto
allo stereotipo bianco-nero. Ma bianco e nero non sono gli unici due
colori e le vite degli abitanti dei vari paesi, anche in tempi di
leader che portano avanti idee malvagie, si esprimono attraverso
l’intero spettro dei colori e non solo con la scala dei
grigi. La
percezione di questi colori dipende dalle convinzioni individuali, dal
nostro rifiuto di accettare il male, e dagli stereotipi offerti dai
teorici della guerra ai quali, nel tentativo di generalizzare, spesso
sfugge l’essenza delle cose. Coloro che spiegano i conflitti
interetnici come scontro fra diverse civiltà non prendono in
considerazione i secoli passati in cui musulmani, serbi e croati
vivevano in mutua comprensione e nel rispetto reciproco delle
diversità. Generalmente i micro-nazionalismi diventano uno
strumento
nelle mani dei detentori del potere seguiti da una minoranza forte e
armata. Consapevoli che lo sviluppo della società civile
porterebbe
rapidamente alla loro sostituzione per via democratica e al loro
eventuale arresto, questi detentori del potere usano ogni mezzo
disponibile, tra cui il più influente sono i mass media, per
intimorire
gli appartenenti al proprio gruppo. Lo scenario è sempre lo
stesso: i
membri dell’altro o degli altri gruppi minacciano i loro
interessi
vitali. |