UNA STORIA CYBORGUESCA: HE, SHE AND IT DI MARGE PIERCY di Antonella Russo |
E come un bambino che viene alla luce protestando e piangendo, allo stesso modo Yod vive la sua “nascita” con spavento, sofferenza, come spiega a Shira:
Leggendo questo passaggio notiamo come la descrizione della nascita avvenga attraverso l’impiego di termini scientifici, quasi a porre l’accento sulla sua natura di macchina, ma nello stesso tempo siamo coinvolti emotivamente dalla sofferenza e dalla confusione che prova, proprio come essere umano. Ancora una volta ci troviamo di fronte all’impossibilità di definire, di inserire Yod in una categoria fissa, stabile. La stessa difficoltà che incontriamo nella scrittura, dato il susseguirsi degli eventi senza una continuità logica. Una scrittura che, per questo, potrebbe considerarsi cyborguesca, per riprendere il termine coniato da Giulia Colaizzi (2006), da cyborg e dalla nozione di corpo grottesco di Bachtin, ovvero un corpo non confinato in se stesso, ma che vive in un rapporto di simbiosi con altri corpi, di trasformazione e rinnovamento, ricorrendo anche a mescolamenti e contaminazioni che non conoscono soluzione di continuità tra umano e non umano, animale e vegetale, organico e inorganico. Secondo Giulia Colaizzi il corpo cyborguesco è un corpo che eccede costantemente i suoi limiti, non è chiuso in una totalità ma è un corpo dialogico, identico a se stesso e nello stesso tempo altro, un corpo strutturato come un’articolazione di discorsi e differenze, che si ha nel e attraverso il linguaggio. Quindi scrittura cyborguesca poiché non è chiusa in una totalità, ma è eterogenea, risultato della fusione di linguaggio magico, mitico della tradizione cabalistica attraverso l’uso del passato e linguaggio informatico, scientifico rappresentato dal mondo virtuale con l’uso del presente/futuro. Le unità di tempo, di spazio vengono completamente stravolte e la scrittura si pone come la grottesca parodia di ogni forma di coerenza. Di conseguenza, i canoni della narrativa basata su criteri di verosimiglianza e naturalismo, che offre una visione monolitica e chiusa del mondo, vengono sconvolti. Qui, alla monologicità della parola, si
sostituisce
la pluralità di voci e punti di vista dei personaggi che
popolano il
romanzo e che non s’inquadrano in un progetto unico e
unitario. La
Piercy, infatti, si nasconde, si rende invisibile e lascia che siano i
suoi personaggi a narrare e narrarsi. Realizza, cioè, il suo
discorso
attraverso un gioco di rinvii da interpretato ad interpretante,
cosicché la sua parola “si situa in un dialogo
infinito” (Cfr. Ponzio
2004), non si lascia imprigionare nella sua realtà, ma rompe
i confini
del suo tempo e rivive nel dialogo con gli interpretanti di mondi
differenti: quello futuro ricco di suggestioni cyberpunk e quello
passato, della tradizione orale, della magica atmosfera della Praga
secentesca. |
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