Yod non giudica le apparenze, in questo differisce dagli
esseri
umani; ma, come gli uomini, è capace di sviluppare proprie
ambizioni e
valori, è in grado di creare metafore, di amare, di godere,
di
desiderare, di manifestare insicurezza e ci tiene a chiarire la
differenza tra le funzioni che deve svolgere assegnategli da Avram, e
lo sviluppo di una sua personalità:
Mi ha prodotto, ha scelto di farmi
esistere ma non
come individuo, non per quello che sono, solo per alcune delle cose che
posso fare (ibidem: 142).
Anche nella descrizione dell’incontro sessuale tra
Yod e Shira,
leggiamo lo stupore di quest’ultima nello scoprire il cyborg
meno
“meccanico” degli altri suoi amanti umani, ponendo
in primo piano la
questione che produrre robot umani o macchine
“meccanizza” tutti noi
(Shands, op.cit., pag. 93), ricollegandosi,
in questo modo, a
ciò che sostiene Haraway quando scrive che nel rapporto tra
umano e
macchina non è chiaro chi crea e chi è creato
(Haraway, 1991, pag.
177). Yod rappresenta la creatura post-genere,
è un connubio di
he, she e it e trascende, in questo modo, le categorie di genere
maschile/femminile: nasce in un laboratorio, con le caratteristiche
fisiche di un maschio e infine viene “programmato”
da Malkah per
sviluppare un certo livello di autodeterminazione, in modo da sfuggire
al progetto di dominazione da parte del suo creatore:
Avram lo ha fatto maschio, in
tutto. Avram pensava
che fosse questo l’ideale: pura ragione, pura logica, pura
violenza. Ma
il mondo è scampato a stento ai maschi di questo tipo.
Così ho cercato
di dargli un lato più delicato, cominciando con
l’enfatizzare l’amore
per la conoscenza e allargandosi poi al piano emotivo e personale,
creando un bisogno di contatti… (Piercy, op.cit.,
pag. 167).
Ci sono due aspetti da sottolineare in questo passaggio: il
primo è
il tema del desiderio della procreazione da parte dell’uomo,
dello
scienziato Avram che lavora in segreto nel suo laboratorio
(“Yod is a
secret project of my own” [ibidem, pag. 73]), che tanto ci
ricorda il Frankenstein
di Mary Shelley; il secondo riprende l’idea di Haraway
dell’importanza
da parte delle donne di comprendere la presenza della cibernetica in
ogni aspetto della realtà sociale e di prendere parte
attivamente nella
costruzione dei nuovi limiti, come strumento di liberazione. Tutte le
donne in He, she and It, hanno conoscenze ed
esperienze
nell’ambito tecnico-scientifico al pari degli uomini, proprio
perché la
scrittrice vuole incoraggiarle a sentirsi partecipi nella costruzione
della futura tecnologia. Malkah, infatti, spiega a Yod
l’importanza del
ruolo da lei svolto nella sua creazione:
Avram mi ha proibito di vederti, ma
possiamo ancora
comunicare attraverso la Base ed è qui che creerò
le mie buba masiod,
le favole della nonna, per te. […] Sono la figura
[…] che ti insegna a
mitigare la violenza attraverso un rapporto umano (ibidem:
28).
È, come vediamo, Malkah a programmare Yod nello
sviluppo del suo
lato emotivo, a dargli un’educazione sentimentale iniziandolo
al
racconto della creazione del suo antenato, del Golem2 Joseph da parte
del rabbino Judah Loew nella Praga del 1600. Marge Piercy vuol
mostrarci come tra il 1600 e il 2059 ci siano tante differenze,
soprattutto culturali, ma come nello stesso tempo e allo stesso modo
Yod e Joseph sono espressione di subjects in process,
decentrati, che suggeriscono la possibilità di innumerevoli
altre
storie ma soprattutto tematizzano la costruzione
dell’identità
decostruendo, di conseguenza, le dicotomie su cui si basa il pensiero
occidentale. Viene, inoltre, evidenziato che
è il potere delle parole a creare la
realtà: il Golem prende vita quando sulla sua fronte viene
scritta la
parola emet, verità e può
essere distrutto trasformando la parola da emet a met,
ovvero morte; allo stesso modo Yod è il risultato di un
linguaggio di
programmazione, di un lavoro di studio, ricerca e
“inserimento di dati”
che lo rendano perfettamente integrabile nella società:
Bisogna insegnargli a parlare agli
umani, a comportarsi in società, a gestire le sue funzioni
(ibidem: 87).
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