Il rovesciamento della fabula nel cinema di Tim Burton di Giorgio Signori | ||
“Quando
tutto a un tratto Hansel vi spinse, invece, la povera strega
indifesa, che finì dentro il forno e morì
bruciata viva, contorcendosi
negli spasmi dell’agonia. Ora bambini e bambine come pensate
che ci si
possa sentire?”. È
con queste parole che Morticia Adams,
impersonata da Anjelica Huston, racconta a un gruppo di bambini
dell’asilo la storia di Hansel e Gretel, nel film La
famiglia Addams (The Addams Family,
Barry Sonnenfeld, USA, 1991). L’accento sull’agonia
e sull’orribile
morte della “povera” strega, uccisa da bambini
improvvisatisi
carnefici, è uno slittamento di senso che incarna
l’assunzione di un
punto di vista altro rispetto a quello consuetudinario, nel rapportarsi
all’esperienza della fiaba per bambini. Quello che Morticia
domanda ai
piccoli ascoltatori è in realtà una richiesta
inviata direttamente allo
spettatore, che si trova così a ragionare e a sorridere di
un mondo
eterotopico (nell’accezione di Michel Foucault), del quale
accetta, in
virtù della così accentuata diversità
rispetto al proprio, le leggi e
le ambiguità. L’ironia e il comico sono
tradizionalmente i luoghi
privilegiati per la sperimentazione dei sensi, laddove il rovesciamento
di una situazione culturalmente consolidata permette allo spettatore di
percepire il distacco dal reale e provare così il piacere
nel consumo
del prodotto. Non è un caso, quindi, che gli elementi
più oscuri
dell’immaginario fiabesco vengano posizionati nella
produzione, non
solo quella cinematografica, di narrazioni fondate sulla commedia e
sull’intrattenimento leggero.
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