Ma probabilmente l’apice di questo
percorso,
che passa anche per un altro film in stop-motion non dissimile da Nightmare
Before Christmas, cioè La sposa cadavere
(The Corpse Bride, Usa, 2005), lo si
raggiunge con l’ultimo Sweeney Todd,
la storia di un efferato serial killer, un barbiere che uccide i suoi
clienti nello scenario di una Londra vittoriana, in cui
l’operazione
che Burton compie non è tutto sommato differente da
ciò che fa Morticia
nel raccontare la favola ai bambini cui si accennava
all’inizio: sposta
il focus percettivo del racconto, concentrandosi sugli aspetti oscuri,
rimossi, perturbanti, della fiaba. Burton agisce sui regimi della
focalizzazione narrativa con sapiente maestria, adottando un registro
come di consueto cupo, ma allo stesso tempo affascinante e seduttivo,
lavorando sugli scarti dell’immaginario fiabesco
mitteleuropeo del
primo Ottocento e concentrando l’attenzione dello spettatore
su tutti
quegli aspetti che la tradizione del racconto per bambini, cui si
è
accennato, tende a trascurare. |
Non c’è
molto di “nuovo” in Sweeney Tood,
gli stereotipi ci sono tutti: la “strega” che
cucina manicaretti di
carne umana, e che, come per ogni strega degna di tal nome, ha un
destino già scritto: la sua fine beffarda non
potrà non incontrare
l’enorme forno, strumento di orrore prima, di giustizia poi.
C'è il
bambino che, attratto prima dalle lusinghe della sazietà, si
trasforma
poi, a sua volta, in efferato carnefice. È, infine,
affabulatoriamente
stereotipata la diade del cattivo e del suo servitore, l'uno turbato da
irrefrenabili ossessioni sessuali, l'altro succube di una sudditanza
che gli permette di esprimere sotto forma di violenza gli incubi delle
repressioni generategli dal suo apparire grottesco. Non manca, secondo
le più rigorose indicazioni formaliste proppiane, l'oggetto
di valore,
ovvero quei rasoi d'argento, personaggi che evocano il lato amichevole
e allo stesso tempo la follia di Todd, incarnato da un Johnny Depp ai
massimi regimi, ancora una volta perfetta metà di Burton in
quello che
ormai è uno dei più duraturi e fortunati sodalizi
cinematografici dai
tempi del citato Edward Mani di Forbice. Ma se i
temi sono quelli della fiaba, ciò che rende
“adulto” Sweeney Todd,
nato musical in teatro e già diventato film di culto,
è, come già
accennato, l’ossessiva attenzione verso quei particolari
terribili, che
normalmente, nel raccontare una storia, o nell’ascoltarla, da
bambini,
si insinuano sottopelle senza apparentemente lasciar traccia se non
nell’insegnamento didascalico cui è
indissolubilmente e ontologicamente
legata la fiaba. Tutti questi elementi sono portati in superficie,
guadagnano la spot-light e diventano assoluti
protagonisti di
un film che è Burton all’ennesima potenza.
Immaginando di poter
prendere l'ambientazione gotico-vittoriana, la fisionomia caricaturale
dei personaggi, l'illuminazione, il colore, l'atmosfera dimessa de La
sposa cadavere,
e di riproporla in un film con attori in carne e ossa, si
avrà una
messa in scena visivamente ricchissima, un Depp in un personaggio che
sembra un po' Beethoven con i capelli di Crudelia Demon2 e un po' il
Jack Nicholson di Shining (The Shining,
Stanley Kubrick,
Usa, 1980), una monotonia cromatica rotta dal rosso del sangue, un
sangue vivo ma irreale almeno quanto quello di Kill Bill3,
e
sospesa nel geniale e ironico interludio a colori del sogno a occhi
aperti, in definitiva una favola messa sottosopra, vista con gli occhi
dei cattivi, quei cattivi che tuttavia, fino alla fine, non perderanno
del tutto quell’aura affascinante della natura
seducente del male. E,
non dimentichiamolo, tutto ciò in attesa del prossimo film
di Burton,
una trasposizione in carne e ossa di un popolare film
d’animazione, Alice nel Paese delle Meraviglie4,
che tutto lascia immaginare essere un prodotto in linea con la ricerca
di un’estetica gotica della fiaba.
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