Tuttavia
la cinematografia, che
raccoglie, a
sua volta, esperienze televisive e seriali, come proprio nel caso della
Famiglia Addams, si trova oggi a giocare con il ribaltamento di un
modello preconfezionato ed estremamente strutturato, con una serie di
operazioni di svolgimento e riassemblaggio delle strutture attanziali e
di focalizzazione del racconto. Tra gli autori sicuramente
più
rappresentativi di questa ricerca di un senso ribaltato
c’è Tim Burton,
prolifico e visionario regista la cui produzione ragiona,
narrativamente, visivamente, stilisticamente, sul mondo della fiaba e
della fabula, sviluppando uno sguardo privilegiato in direzione del
gotico, dell’oscuro, dell’ambiguo, già
dai suoi primi cortometraggi.
Successivamente all’esperienza del primo Batman (1989),
il film d’animazione in stop-motion
è probabilmente il suo primo lavoro che guarda alla
rappresentazione
ribaltata dell’immaginario fiabesco, mostrando il rimosso
della cultura
mitteleuropea rispetto alle strutture narrative classiche. È
infatti
vero che la dimensione horror della fiaba, a volerci ragionare,
è
estremamente fondante, ma tutto sommato trascurata nel ricordo a favore
dell’elemento della morale, grazie anche alla sapiente
economia
narrativa tramandatasi da generazioni e generazioni di raccontastorie.
Oltre alla già citata Hansel e Gretel, a Raperonzolo, vera e
propria
fiaba sulla prigionia, si può pensare all’incontro
di Cappuccetto Rosso
con il Lupo, che viene sviluppato né più
né meno che con una serie di
atroci fagocitazioni, al Brutto Anatroccolo, che racconta di terribili
discriminazioni e di esclusione sociale, o a Pollicino, in cui il tema
della diversità fisica viene portato a conclusione con la
canonica
vivisezione della pancia del lupo, immagine, a pensarci,
tutt’altro che
serena.
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Nell’Acciarino Magico, come in molte altre fiabe, si
evoca il
dramma della sofferenza e della guerra, ma si affronta
l’avidità,
l’irriconoscenza del soldato che, senza troppe domande,
uccide la
strega che l’ha reso ricco, mentre la Sirenetta, a differenza
dell’omonimo film Disney, si conclude con la protagonista che
deve
scegliere tra il pugnalare a morte il proprio principe e accettare la
morte, edulcorata dalla promessa del Paradiso. Tim
Burton sviluppa, in quasi vent’anni, un percorso che, da Edward
mani di forbice (Edward Scissorhands Usa,
1990) a Sweeney Todd: il diabolico
barbiere di Fleet Street (Sweeney Todd: The Demon
Barber of Fleet Street,
Usa, 2008), agisce nel recupero dell’aspetto cruento del
mondo della
fiaba, riportandolo in superficie e mettendone in luce tutte le
ambiguità a livello narrativo e attanziale. Difficile non
considerare Edward mani di forbice,
infatti, un eroe buono, un personaggio verso il quale provare affetto
misto a un’indulgente commiserazione, ma è
tuttavia Edward quello che
taglia sul volto il corpo senza vita del suo creatore, ed è
sempre
Edward quello che ferisce Kim e il piccolo Kevin e uccide Jim. I
personaggi di Burton si arricchiscono costantemente di questa doppia
anima. Tre anni più tardi Jack Skeletron (Skellington nella
versione
originale), in Nightmare Before Christmas1
(in
verità diretto da
Henry Selick su soggetto di Burton e prodotto da
quest’ultimo), ruba il
Natale e fa rapire Babbo Natale. Nonostante il lieto fine,
l’intero
film ammicca alla dimensione oscura e tetra delle festività
di
Halloween, paragonate a quelle del Natale, probabilmente una densa
metafora, che tende a far risaltare il contrasto e il conflitto
presenti nelle grandi narrazioni fiabesche. Quelli che
costruisce Burton sono dunque, a tutti gli effetti, dei veri e propri remake
dell’immaginario fiabesco, e non a caso una delle sue
successive produzioni sarà il rifacimento di un classico, La
fabbrica di cioccolato (Charlie and the Chocolate
Factory),
Usa, 2005), che, rispetto all’originale film del 1971 girato
da Mel
Stuart, presenta un Willy Wonka radicalmente antisociale, flagellato da
una radicata pedomisia.
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