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conversazioni ]
Giovanni Saviozzi, reportage fotografico sui reietti del nostro pianeta di Adolfo Fattori |
La sorella di una ragazza
è
stata dimessa con leggerezza e due ore dopo si è tolta la
vita, e
queste sono storie di un anno fa. In un paese civile quale dovrebbe essere il nostro c’è gente che ancora “vive” in strutture che sono in tutto e per tutto manicomi, ci sono “luminari” della medicina che sostengono che la terapia elettrica non faccia male. C’è a mio avviso una nuova battaglia da intraprendere ed è quella della definitiva chiusura degli O.P.G. (Ospedali Psichiatrici Giudiziari ndr). Come vedi materiale di denuncia ce ne è purtroppo più che a sufficienza. Delle tue foto colpisce la documentazione dei frammenti – di cartelle cliniche, di foto, di oggetti, frammisti ad altro o persi in una solitudine desolante. Frammenti di storie non raccontate, perché i loro protagonisti non avevano le parole per raccontarle, o per l’incuria degli uomini? A Volterra ad esempio c’è la corrispondenza negata, le cartoline, le lettere dei malati ai familiari venivano censurate e il più delle volte non spedite. Si sa bene, che ciò che è chiuso in una pagina di un libro, in un immagine, esiste, di ciò che non resta testimonianza se ne perde le tracce. Una legge dello Stato prevedeva che gli effetti personali di un malato dopo la sua morte fossero distrutti. Era come distruggere la prova della sua esistenza. Ci sono piccoli cimiteri abbandonati lontani dai paesi, lontani da quelli comunali, dove i malati venivano seppelliti. Questi molto spesso presentano croci divelte, anonime. | Ecco come per quasi un secolo in Italia scomparivano le persone. Io penso che ciò sia stato sottovalutato dalla politica, dai media, e, perché no, dalla storia. Il tuo lavoro vede l’impiego sistematico del B/N. Ritieni questa scelta formale la più adeguata ad esprimere una relazione tra il mondo della follia e lo sguardo che lo osserva perché ne sottolinea la drammaticità, o perché la attenua? Oppure? Io credo che il B/N sia il linguaggio fotografico per eccellenza. Ci sono generi fotografici, mi viene in mente lo still-life, quella fotografia al “servizio” della pubblicità, che naturalmente impongono l’uso del colore perché destinati alle pagine patinate. Nonostante sia stato un grafico pubblicitario non sono mai riuscito ad esprimermi fotograficamente con il colore. Non è una forma di snobismo ma piuttosto la convinzione che il B/N sia senza compromessi, che sia la luce, con le sue ombre a “disegnare” l’immagine. L’osservatore è “costretto” a riflettere davanti ad un’immagine, non viene distratto dai colori. Sono le forme, il messaggio che catalizzano l’attenzione. Io cerco di praticare una fotografia che predilige il racconto, il reportage. Per me scattare è un po’ come scrivere un libro. Forse se fossi stato in grado di scrivere avrei potuto fare anche lo scrittore ma ahimè… Allora la fotografia diventa il mio linguaggio. Credo in un linguaggio diretto senza artifici, senza tanti fronzoli. |
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