La solitudine messa in luce da Edward Hopper
di Giovanni De Notaris
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Edward Hopper photographed by Peter A. Juley & Son * |
Dalle iniziali raffigurazioni paesaggistiche statunitensi, così
connesse all’esigenza di descrivere tutto ciò che il nuovo mondo aveva
da offrire strizzando l’occhio anche al Romanticismo europeo, di tempo
ne era passato, quando ormai, competente conoscitore delle nuove
correnti artistiche americane e dei pittori impressionisti europei,
Edward Hopper (1882-1967) decise di lasciarsi alle spalle i
consueti soggetti propri della sua prima produzione artistica, come
nudi e ritratti, per dedicarsi anima e corpo alla rappresentazione del
genere che contrassegnerà poi tutta la sua futura attività di artista:
il paesaggio urbano.
Di tempo ne era passato anche dalla nascita della prima vera e propria scuola di paesaggisti americani, la Hudson River School, che con i suoi protagonisti aveva gettato non solo le fondamenta del vedutismo americano, ma contribuito anche alla comprensione di ignoti territori e culture, tentando di misurarsi e allo stesso tempo di superare i traguardi di quello europeo. |
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In realtà, anche se le
motivazioni e i soggetti delle vedute statunitensi erano nettamente
distinte da quelle europee, non sempre i paesaggisti dello Zio Sam
arrivavano a sganciarsi del tutto dalle correnti predominanti nel
paesaggismo europeo, come il Romanticismo prima, l’Impressionismo
poi. Anche Hopper non fa indubbiamente eccezione, avendo lui stesso
preso
parte, si potrebbe dire, ad un Grand Tour novecentesco in
Europa, dove in quel di Parigi fu particolarmente preso dalla luce e
dai colori impressionisti che ricorreranno prepotentemente in tutte le
sue prime opere. Unici fili conduttori nella sua ampia produzione
saranno sempre la potenza evocativa della luce e la desolante
solitudine dell’uomo. Da un lato egli invitava lo spettatore a prender
parte alla scena, considerandolo così come il giusto compimento delle
sue tele, dall’altro manifestava come uomo metropolitano la sua
solitudine; decisamente le reminiscenze impressioniste iniziavano a
indebolirsi per capitolare a favore del mix di luce e forme geometriche
che lo porterà a creare le più suggestive immagini metropolitane mai
viste fino ad allora.
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| versione per la stampa | | (1) [2] [3] |
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Smithsonian Institution Research Information System's Publications: Stahl, Joan, “American Artists in Photographic Portraits from the Peter A. Juley & Son Collection,” Mineola, NY: Dover Publications in association with the National Museum of American Art, 1995, fig. 97, pg. 41. | ||