Lo straniero che abita la nostra realtà di Enrica
La Palombara
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È questo il
primo momento di debolezza del protagonista, la prima volta in cui
Meursault scoppia in uno scatto d’ira, contro il prete, la
religione e la vita in genere, che finalmente dimostra quella parte umana
della sua personalità. La morte è ormai imminente
ed egli non ha fede, non crede nella speranza di salvezza per tutti
noi. Non ha bisogno di essere rassicurato dalle parole di Dio. Egli
ritiene che lui, come tutti gli altri uomini, ha deciso da
sé del suo destino. Si è creato da sé
la sua vita. Non fa una grande differenza essere condannato a morte, o
sapere di dover morire prima o poi. Con queste parole cerca di
rassicurare se stesso e finalmente lascia trasparire parte dei suoi
sentimenti, di arresa, di alienazione dalla realtà che ormai
non gli apparterrà mai e che forse non gli è mai
appartenuta.
Lo straniero ci permette sicuramente, come si è premesso, di concentrarci sui tratti della cultura moderna e dell’uomo dei nostri giorni. Meursault vive la sua vita senza essere guidato da nessun obiettivo, senza provare piacere nel mostrare i suoi sentimenti, senza cercare il confronto con gli altri. Quella che scorre è la sua vita, ma a lui “non interessa”, in sintonia con quanto scrive Martin Heidegger: “l’esistenza è il divenire, ciò che è sottoposto a un continuo mutare, un continuo proiettarsi verso ciò che non è ancora. L’esistenza è la condizione propria dell’uomo che vive il dinamismo della realtà non solo nella propria coscienza, ma anche e soprattutto nel proprio essere. Essa è il luogo dove può accadere ogni cosa senza possibilità di previsione”4. Così il nostro protagonista agisce, e tutto ciò che accade non avviene per sua volontà; egli segue il suo corso senza pensare alle possibili reazioni degli altri. Continua a vivere nel tempo dell’aspettativa, dove si consuma l’attesa passiva di ciò che deve ancora accadere. Forte la risultante di individualismo che si evidenzia nel suo personaggio, ma anche un’attenzione particolare per le cose materiali, carnali. Due caratteristiche, queste, molto presenti ai nostri giorni, nella generazione degli io accompagnati dai nostri innumerevoli oggetti e bisogni materiali. In ultimo, sarebbe erroneo non collegare questi temi con il concetto che apre e chiude questo capolavoro dei nostri tempi: la morte, la rappresentazione del trascendente di cui non possiamo fare esperienza nella nostra realtà. La morte può portare l’uomo al di fuori della sua fisicità, della sua reale esistenza corporea. Ciò non può accadere facilmente per Meursault e per noi abitanti della tarda modernità. Pena la perdita della prova del reale: la materia. In fin dei conti, siamo tutti un po’ stranieri della nostra stessa realtà. In questo è la capacità di Camus di anticipare i temi contemporanei: Meursault è intangibile, c’è e non c’è. Come l’uomo della contemporaneità il nostro straniero si presenta come ognuno di noi che siede alla scrivania, osservando lo schermo sul quale è proiettata la nostra vita, quella virtuale, quella costruita su misura per ognuno di noi. L’uomo moderno vede il mondo attraverso uno schermo e apporta modifiche nella sua vita premendo i tasti che corrispondono ai comandi desiderati. Si seguono le regole del gioco virtuale, ma una volta comparsa la schermata game over il gioco può ricominciare5. Attraverso i videogiochi possiamo uccidere anche noi un “arabo”; attraverso le chat possiamo anche noi incontrare un altro “nick” e intrattenere con questi una storia che di amore non ne ha neanche l’odore. Attraverso i blog personalizzati possiamo cominciare anche noi un’amicizia con qualcuno di cui abbiamo visto solo le foto migliori e letto i pensieri scritti di getto sul profilo web, in cui ci si può descrivere come più piace vederci. Meursault, come l’uomo moderno che interagisce e vive attraverso uno schermo, è lo straniero della sua realtà e gioca al gioco della vita attivando i comandi più immediati senza troppo pensare agli effetti che potrebbero apportare. | ||
[1] [2] (3) |
4. Martin Heidegger,
Essere e tempo, Longanesi, Milano, 2005. |
5. Cfr. Gianfranco Pecchinenda,
Videogiochi e cultura della simulazione, Laterza, Roma-Bari, 2003, pagg.116 e segg. |
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