LA VERITÀ AL TEMPO DELLA FICTION di Adolfo Fattori
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È interessante invece da un altro punto di vista: quello dell’intreccio dell’evento giornalistico sicuramente spettacolare, con un prodotto della fiction altrettanto – almeno nelle intenzioni della produzione – spettacolare, e poi dell’intervento di un critico che, in qualche misura, dà voce alla diffidenza del “pubblico”. Il fatto è che l’allunaggio fu di per sé un evento spettacolare, perché fu visto in televisione e perché toccava uno dei nodi simbolici ed emozionali più profondi dell’umanità. Il film di Hyams, il libro di Kaysing non fanno altro che rafforzare, ribadire questa dimensione. Le stesse riflessioni si possono fare a proposito della parabola di Diana Spencer, delle sue nozze e della sua drammatica morte, visto che anche su questa sono state ricamate ipotesi di tutti tipi – che coinvolgono anche direttamente, fra l’altro, figure legate all’informazione: i fotografi, i giornalisti. E così si fonda la fusione fra cronaca e fiction, fra informazione ed estetica, nell’era del sapere per immagini, a fare da premessa all’era del virtuale, a tenere salda e rinnovare la relazione fra media e opinione pubblica. In effetti, alcuni aspetti del rapporto fra informazione e pubblico messi in primo piano da questi esempi ci sono sempre stati, sul piano della forma, su quello dei contenuti. Su quello della forma, perché se “le masse”, il pubblico, è sempre stato pronto a farsi prendere all’amo dalla notizia sconvolgente, dal titolone iperbolico, nella stessa maniera il suo senso comune l’ha fatto sempre, almeno un po’, dubitare delle informazioni trasmesse dai media. Sul piano dei contenuti, perché sono pochi i temi fondanti, radicali, che legano l’informazione al pubblico, e hanno a che fare con gli archetipi più primitivi del nostro immaginario: Eros e Thanatos, declinati in tutte le forme possibili del conflitto, della conquista, del tradimento, dell’abbandono e della passione. E nel dubbio sulla verità dello sbarco lunare, come in quelli sulla morte della principessa Diana ne ritroviamo sicuramente qualcuno. Così, grazie a quello che potremmo anche considerare come il “mito fondativo” del superamento della Modernità, la conquista della Luna e l’ingresso nella virtualità, ormai è diventato parte della nostra vita quotidiana, della nostra cultura, della nostra visione del mondo associare sempre più automaticamente il termine “giornalismo” al termine “spettacolo”, addirittura inteso come “fiction”. D’altra parte l’informazione giornalistica, nella sua pretesa di descrivere la realtà sociale e fattuale, è sempre prosperata su un equivoco – su cui sarebbe ozioso chiedersi se coltivato ad arte o meno: quello del rapporto fra la “verità” e i punti di vista, le opinioni, le convinzioni. La sociologia – disciplina che si occupa della stessa sfera, ad esempio, nemica del senso comune com’è, ha già risolto da tempo la questione: la realtà è un costrutto sociale, e quindi – possiamo aggiungere – la verità, qualsiasi cosa voglia significare il termine, è un fatto socialmente determinato. Ma qualche precisazione significativa, piuttosto che liquidare la questione con un’alzata di sopracciglia o un gesto della mano come quello che serve ad allontanare un insetto molesto, vale la pena di farla. Intanto, il giornalista – della carta stampata o dello schermo – è un emittente di messaggi rivolti a destinatari che spesso sono lontani dal luogo dove si svolgono i fatti di cui il cronista parla, e quando vi è abbastanza vicino è difficile che abbia voce in capitolo. Poi, raramente questo destinatario ha voglia di andare a controllare la veridicità di quanto gli è stato riferito. |
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