Aprile, un mese lungo il sogno di Nanni
di Luca Bifulco
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Dio
è morto, Marx è morto ed anche io
non mi sento molto bene Woody Allen |
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J
acques Le Goff definisce l’exemplum medievale
come “una
storia da cogliere nel suo insieme come un oggetto, uno strumento di
insegnamento e/o di edificazione1”.
Se si esclude il carattere strettamente pedagogico e moraleggiante, è possibile individuare anche in tanti film una simile capacità di fornire utili spunti per riflettere, divulgare o condividere idee, punti di vista, suggestioni. Un film, insomma, può spesso rappresentare una specie di exemplum che apre il campo ad un dibattito collettivo sulla scorta del suo immaginifico potenziale espressivo2. |
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È per questo che si può guardare al
cinema come ad un testimone privilegiato delle aree di discussione
simbolica di un’epoca. Ora, se cerchiamo un valido exemplum
sul rapporto tra politica e società contemporanea, possiamo
rivolgerci al film Aprile di Nanni Moretti3.
Qui Moretti interpreta se stesso, affermato regista di
sinistra, che
vive con inquietudine e disillusione la crisi ideologica e politica
della società italiana. Il film apre con le elezioni del
1994, vinte
dalla destra berlusconiana, per passare alla caduta del governo e poi
al periodo elettorale che porterà la vittoria della sinistra
nel 1996.
Nel frattempo, accantonata l’idea di girare un musical
ambientato
nell’URSS degli anni Cinquanta, quasi per dovere morale,
Nanni comincia
a lavorare a un documentario sulle elezioni, per realizzare
un’accurata
indagine sulla realtà italiana.
Parallelamente, un evento sconvolge la sua vita: la nascita del figlio Pietro. Sempre meno convinto dell’utilità del suo lavoro e sempre più distratto dall’arrivo del figlio, Nanni abbandonerà, dopo un lungo e sofferto percorso introspettivo, il progetto del documentario, potendosi finalmente concentrare senza remore sul suo musical. |
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Aprile è, in sostanza, un film
che tematizza un rifugio nel
privato nutrito da una forte sfiducia nella politica e nella sfera
pubblica. In ciò quasi riverbera temi cari ad un certo
immaginario
sociologico postmoderno: individualizzazione, crisi della politica,
cambiamento dei sostrati ideologici, ridefinizione del legame sociale.
Il film raffigura un peculiare tratto dell’individualizzazione, non intesa solo come consapevolezza della propria unicità da valorizzare, ma come sofferta rinuncia alla partecipazione pubblica – risultato di una delusione civica – e come inquieto smarrimento di una comunità ideologica in cui poter rinvigorire la propria identità. Se l’umanità appare come una massa di estranei, l’unica soluzione sembra quella di chiudersi nella propria intimità, nella calda cornice degli affetti più cari, per forgiare se stessi attraverso i propri significati. Evidentemente, l’erosione della fiducia nella politica è troppo forte. A tal proposito, viene subito da pensare all’analisi di Albert O. Hirschman, che vede come la nostra società viva semplicemente una naturale oscillazione ciclica tra momenti di forte coinvolgimento nella sfera pubblica e momenti di interesse esclusivo per il benessere privato4. | ||
| versione per la stampa | | (1) [2] [3] |
1. Le Goff,L’immaginario medievale,
Laterza,
Roma-Bari 2003, p. 117. |
2. Devo l’intuizione
della similitudine tra l’opera filmica e l’exemplum
medievale
a Guido Vitiello. |
3. Film del 1998.
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4. Cfr. A. O. Hirschman, Felicità
pubblica
e felicità privata, il Mulino, Bologna 2003. |
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