Sognando lo Iowa: l’infanzia dorata del baby boomer
Bill Bryson
di Daniela Fabro
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I
nquinamento, fame nel Terzo
Mondo, diminuzione delle risorse naturali. Si può ben dire
che il sistema produttivo e il modello di società dominanti
da mezzo secolo abbiano fallito il loro obiettivo principale.
Dopo la Seconda guerra mondiale, l’imperativo in Europa era la ricostruzione e, in America, la crescita del benessere dei suoi cittadini. Questi ultimi sono presto diventati oversize, con tutti i problemi di salute che l’obesità comporta, e il Vecchio Continente respira una delle arie più inquinate del mondo, se si esclude la Cina. Intanto, secondo autorevoli analisti e osservatori, dal 2030 potremmo non avere più acqua, e la maggior parte dei bambini africani già adesso muore di fame. La società governata dai baby boomers non è quella idealizzata dai loro genitori, che coltivavano ancora dei sogni. Eppure è il loro lascito: di questi ingenui quanto adorabili individui che vedevano il futuro colorato come i primi film di fantascienza di cui era appassionata spettatrice la loro prole. |
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Una discendenza che annovera tra le sue nutrite schiere Bill Bryson, classe 1951, “un buon compagno di viaggio e un acuto osservatore, con uno sguardo divertito per tutto ciò che appare eccentrico“, come ha detto di lui Mordecai Richler, e che, dopo Breve storia di (quasi) tutto1, ci regala l’ironico e divertente Vestivamo da Superman2, uscito lo scorso autunno per Guanda. Nato e cresciuto nello Iowa, a Des Moines, figlio dell’inviato sportivo del “Des Moines Register“ e di una giornalista di una rivista di arredamento, Bryson è il cronista ideale delle storie della corn belt degli anni Cinquanta. Quel modello di America wasp - bianca, anglo-sassone e protestante -, lo stato dove iniziano le primarie che hanno decretato recentemente la prima vittoria di Barack Obama su Hillary Clinton. Osservatorio privilegiato delle vittorie del consumismo sulla ferree regole della necessità, lo Iowa colpisce per l’ingenuità e la spensieratezza dei suoi abitanti, secondo cui i progressi di scienza, tecnologia e industria avrebbero prodotto ricchezza e felicità per tutti. Cinquant’anni di sviluppo economico sono passati da quando Bryson era bambino, e il caos in cui ha gettato le attuali democrazie la repentina evoluzione della società non era minimamente prevedibile. “Tutte le famiglie felici sono felici allo stesso modo”, si legge nell’incipit di Anna Karenina3. Spontanee e semplici, era veramente così per quelle degli anni Cinquanta. Il babbo di Bill lo portava alle partite di baseball. E per lui non c’era gioia maggiore che aiutare il giocatore più famoso della squadra a firmare per i suoi tifosi tutte le palline di un intero scatolone. Con la madre andava invece al cinema. Per lasciarsi incantare, prima ancora che dai film, dalla magia delle sale di una volta, immense agli occhi di un ragazzo che si divertita soprattutto a giocare ai cowboy tra le poltrone. Tutto il mondo, a quell’epoca, era a misura di bambino. Non ci saranno più, nelle generazioni successive, le numerosissime bande di giovani in bicicletta, o che giocano a nascondino per strada: una perdita dell’innocenza o l’acquisizione di una maggiore consapevolezza? |
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| versione per la stampa | | (1) [2] [3] |
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1.
Bill Bryson,
Breve storia di (quasi) tutto, Guanda, Parma, 2006 |
2.
Bill Bryson,
Vestivamo alla Superman, Guanda, Parma, 2007 |
3.
Lev Tolstoj,
Anna Karenina, Rizzoli, Milano, 2006 |
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