Nell’arte antica le tracce del
design italiano
di Maria D’Ambrosio
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E
siste un luogo – e
questo luogo è il Design Museum della Triennale di Milano
– dove è possibile riafferrare la dimensione
estetica come “cifra” antropologica significativa e
che contraddistingue l’homo italicus e il
suo design del XX e del XXI secolo, che coincide con la storia
dell’industria italiana.
Esiste un luogo, dunque, allestito ad arte per lasciar scoprire che in ogni luogo e in ciascuna parte del nostro patrimonio artistico e culturale è serbata traccia del nostro “senso” del bello, ovvero di un culto per la forma e per ciò che, mentre qualcuno lo definirebbe effimero e superfluo, costituisce l’anima del business e del marchio italiano. Una visita dunque alla Triennale di Milano e al suo Design Museum diventa un’esperienza per riafferrare la matrice di un sapere e di un saper fare che fanno dell’apparire e del sentire la dimensione dell’esistere. A Milano dunque. Al Design Museum. È questo il luogo dove ci rechiamo per riafferrare una visione del contemporaneo che restituisce alla produzione industriale un legame così intimo con l’arte, l’artigianato, il sacro, il pagano, di epoche che corrono lungo storia e preistoria e offrono legittimità alle differenti forme espressive perché “chiave” per una lettura del valore, che è sociale, religioso, artistico, degli oggetti e degli artefatti dunque, che va oltre il loro mero valore d’uso. Uso che in ogni caso, si riferisce ed è sempre riferito al quotidiano – così che l’ordinario e il quotidiano sembrano sempre contenere e contemplare la presenza del bello che esalta le forme dell’apparire e quindi del sedurre e dell’essere sedotti. Dunque sembra di poter dire che, prima del design industriale che ne ha colto lo spirito, il quotidiano delle genti italiche sia stato animato da esperienze che hanno posto al centro l’apparire dei corpi, la loro polimaterica consistenza e capacità di essere forgiati, così da esaltare la sensorialità del corpo umano che ne celebra e ne vive le gioie sensuali. Un museo dunque può farsi luogo dove fare esperienza degli oggetti e del loro straordinario potere seduttivo. Un luogo dove il visitatore partecipa del gusto dell’antico e degli antichi. E lo intreccia con il gusto, e il desiderio, generato dal prodotto industriale seriale che, come per magia, ripete la grandezza della creazione. Certo la macchina, e la fabbrica che ne è l’istituzione economica, è il topos dell’homo faber e di una vita activa attribuita alla condizione umana1 e alla sua capacità-necessità di manipolare-trasformare il mondo che abita. Così, prima che alle sale del Design Museum, il pensiero corre anche ad un altro luogo: le pagine dei Codici di Leonardo da Vinci dedicate alle macchine. Un Leonardo visionario e anche un Leonardo scienziato, che, attraverso il tema della macchina, rappresenta e quasi drammatizza quanto dell’uomo si intende qui afferrare: la volontà di potenza e l’arte del manipolare sé e il mondo. Martingala, Marco Zanuso, Arflex, progetto e produzione 1954 Lampada Parentesi, Achille Castiglioni, Pio Manzù, Flos, progetto 1970, produzione 1971 |
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| versione per la stampa | | (1) [2] [3] |
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1.
Maria D’Ambrosio
Cfr. Hannah Arendt, (1981), Vita Activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 1989. |
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