![]() Nell’arte antica le tracce del design italiano di Maria D’Ambrosio |
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![]() Carlton Ettore Sottsass, Memphis, progetto e produzione 1981 |
![]() Torso, Paolo Deganello, Cassina, progetto e produzione 1982 |
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Ma la forza della “messa in scena” alla Triennale ci fa ritornare a quelle sale e al racconto scritto da Andrea Branzi e Italo Rota (architetti e designer italiani) e da Peter Greenaway (il regista inglese) e affidato anche ai contributo di Ermanno Olmi, Antonio Capuano, Pappi Corsicato, Davide Ferrario, Daniele Lucchetti, Mario Martone e Silvio Soldini. Un percorso – fatto di oggetti ma anche di audiovisivi – in cui si rintracciano le origini di un certo “culto” della forma e dell’immagine per individuare e riconoscersi in una storia millenaria che fa dell’estetica una categoria antropologicamente significativa se declinata con le origini greche e latine dell’italica arte del dar forma: alla pietra, alla terracotta, al legno, al ferro e al bronzo. Il dare forma ai materiali che diventano utensili, arredi, abiti, ornamenti, e comunque oggetti di culto che celebrano la dimensione spirituale, e pure erotica, dell’essere e del convivere. Dove la mano dell’uomo, la sua arte della manipolazione che diviene creazione, artificio, tecnologia, fa da protagonista di quell’ideale unicum che lega artigianato e industria in un’etica del fare dell’abitare e del produrre, orientata alla qualità. La qualità delle forme e dei materiali. La qualità del pensiero che le ha generate e dello spirito che si pensa possa animarle. E la qualità di una cultura che dell’oggetto, della sua consistenza, coglie anche tutto il suovalore simbolico (oltre che commerciale). ![]() ![]() Taraxacum 88, Achille Castiglioni, Flos, progetto e produzione 1988 |
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