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Le rivelazioni del giovane fisico sono
tuttavia ben più sconcertanti di quanto inizialmente previsto da entrambi: si
scopre infatti che la cronoscopia è una scienza che da decenni non ha fatto
alcun passo avanti, non insegnata né studiata da nessuno. Solo dopo essere
riuscito a mettere le mani sull’unico testo di cronoscopia esistente al mondo,
il dottor Foster si rende conto di due fatti sorprendenti: il primo è che il cronoscopio non può, per particolari legge quantistiche, osservare un passato
più remoto di un secolo e mezzo, cosa che contrasta chiaramente con i
bollettini ufficiali del governo che pubblicano ricerche cronoscopiche di
storia antica; il secondo è che il cronoscopio può essere costruito da
chiunque, disponendo di mezzi facilmente reperibili e di un manuale, nella
cantina di casa. È solo a questo punto che il cronoscopio si rivela nella sua
mostruosa veste: la moglie del professor Potterley irrompe impazzita nella
cantina di casa desiderosa di usare la macchina per osservare nel passato la figlioletta
morta all’età di quattro anni. Potterley, stravolto, la ferma e distrugge il
cronoscopio temendo che la moglie scopra l’orribile verità, e cioè che
l’incendio che uccise la loro figlia fu provocata da una sua sigaretta non
spenta. “Tutti abbiamo un passato di cui ci vergogniamo”, afferma a un certo
punto Potterley. L’idea che qualcuno possa scoprirne con facilità i dettagli
rende il cronoscopio un’arma spaventosa. Così che ciò che inquieta non è tanto
la frase finale, un po’ ironica: “Buon soggiorno a tutti nella vasca dei pesci
rossi”; ma quella che poco prima il massimo funzionario dell’Ufficio
Cronoscopia, da anni incaricato di sopprimere la verità, rivolge all’eccentrico
zio del dottor Foster che gli chiede cosa sappia di lui: “Tra poco noi conosceremo
tutto, di lei”. Perché quel tutto ha
una spaventosa implicazione letterale che mai potremmo accettare: l’idea che
ciò che è nascosto anche a noi stessi possa essere disvelato a osservatori
esterni. In realtà Il
Cronoscopio acquista proprio nella sua conclusione il vero senso che in
questa sede ha rilevanza. Ad un certo punto infatti Potterley e Foster si
rendono conto che il passato non esiste, nel senso che è passato anche solo
l’attimo, il microsecondo, l’istante prima del presente. Osservare il passato
non significa dunque altro che osservare il presente con uno scarto di una
frazione infinitesima – e forse nulla – di secondo. Questo consentirebbe a
chiunque non solo di scoprire la verità sul passato di chiunque, ma anche di
seguirne le mosse nell’immediato presente e di controllarne ogni singola
azione: “La massaia, dopo aver rivissuto fino alla noia la sua giovinezza,
comincerebbe a spiare il marito, la vicina di casa…” Ecco che il mondo diventa
davvero la vasca dei pesci rossi, senza pareti, senza alcuna possibilità di
sfuggire all’occhio senza volto o ai milioni di occhi senza volto che
controllano ogni istante della nostra esistenza, esistenza non più privata ma
pubblica e in quanto tale completamente disumana. La vera essenza
dell’individuo, che come avrebbe detto Erving Goffman[6]
si costruisce dietro le quinte, al riparo dal palcoscenico pubblico dove
mettiamo in scena solo la nostra parte pubblica, scomparirebbe completamente.
L’io non avrebbe così più senso:
esisterebbe solo il noi, pronome personale
della spersonalizzazione, della disumanizzazione. Il tema della spersonalizzazione del controllo totale, o
meglio ancora dell’alienazione nel
senso quasi “fantascientifico” del termine, è tuttavia più evidente nel
racconto di James Graham Ballard, Le
torri d’osservazione[7].
In un’anonima cittadina inglese gli alieni – o chi per loro – spiano i
movimenti della popolazione da grandi finestre all’interno di innumerevoli
torri che pendono dal cielo. Finestre che permettono di vedere chi sta fuori,
ma non di scorgere chi guarda da dietro. Così, questi esseri senza volto
opprimono la vita quotidiana di centinaia di persone costrette quasi sempre in
casa, incapaci di vivere più come prima. Ad un certo punto Renthall, una di
queste persone, decide che le cose devono cambiare e si dà da fare per
organizzare una festa all’aperto, proprio sotto una delle tante torri, per
sfidare il gioco e il giogo dei misteriosi osservatori. La cosa si rivela da
subito non facile: i cittadini sono restii e soprattutto temono la reazione del
Consiglio comunale che sembra voler a tutti i costi mantenere lo status quo.
Renthall presto intuisce che esiste un legame tra gli osservatori e il
Consiglio, e decide di non sottomettersi ai divieti di quest’ultimo per fare
uscire allo scoperto il complotto che crede si sia venuto a creare. Il
Consiglio ammette che le cose stanno come Renthall supponeva, e cioè che esso
prende ordini dalle entità delle torri, ma proprio quando
sembra che Renthall
abbia avuto ragione le cose cambiano improvvisamente. D’un tratto, nessuno più
si oppone al progetto della festa, tantomeno il Consiglio. Indagando, Renthall
scopre che nessuno più tranne lui vede le torri e poco dopo si rende conto che
nessuno ne ricorda l’esistenza. Le torri d’osservazione, semplicemente, non
sono mai esistite. Creduto pazzo, Renthall corre per le strade della città nei
cieli della quale continuano a imperversare le spaventose costruzioni, fino a
quando improvvisamente tutte le torri aprono le loro finestre: “Fin dove poteva
spingersi il suo sguardo, tutte le finestre di osservazione erano spalancate.
In silenzio, senza muoversi, gli osservatori lo fissavano”. Come tutti i racconti di Ballard, anche questo si presta a
tanti piani d’interpretazione ma essenzialmente il suo significato sta in una
critica, violenta e inquietante, verso quelli che chiameremmo “gli occulti
poteri forti”. Forti perché capaci di controllare la società nei suoi più
minimi aspetti, attraverso l’osservazione che costringe gli abitanti della
cittadina ad atteggiamenti irreprensibili: la relazione “sconveniente” tra
Renthall e la signora Osmond dev’essere tenuta nascosta a tutti, ma in primo
luogo agli osservatori delle torri che sembrano così incarnare l’anonima
onniscienza del “vicinato”, che tutto sa e tutto disapprova. Occulti perché
senza volto, capaci di vedere senza farsi vedere, come le telecamere dietro gli
specchi nel reality show Big Brother,
o – peggio – gli invisibili ascoltatori dietro la rete Echelon, umani o
computer che siano non fa differenza. Le
torri d’osservazione trova la sua forza nel contrasto conoscenza/ignoranza:
mentre gli osservatori sanno tutto della vita dei cittadini, potendoli
osservare continuamente, forse addirittura attraverso i muri, gli osservati non
sanno assolutamente nulla sul conto di chi li controlla.
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