Sulle
tracce di Verne: |
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di Carmine Treanni |
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Se l’invenzione del cinema come dispositivo tecnico si deve ai fratelli Lumiére, Auguste e soprattutto Luois, il cinema inteso come spettacolo è opera di un altro francese: Georges Méliès. È a lui che si deve il passaggio del cinema da pura curiosità e rappresentazione del reale ad una nuova concezione che vuole la settima arte come intrattenimento per le masse, come spettacolo in senso ampio[1]. È a Méliès, inoltre, che va il merito di aver mostrato al mondo intero le potenzialità, artistiche ed economiche, di quella che fino ad allora era considerata solo una stravaganza da fiera e ad aver – seppur artigianalmente – intuito la “grammatica visiva” sottesa ad ogni film. 1. La
scoperta del cinematografo Tornato a
Parigi, nel 1885, mette a frutto l’insegnamento ricevuto e inizia ad esibirsi
come illusionista nei teatri parigini. Negli
stessi anni lavora anche come attore e come caricaturista sul giornale satirico
La Griffe, pubblicando vignette e articoli sotto lo pseudonimo di Geo Smile.
Nel 1888 acquista il teatro Robert-Houdin. Sotto la sua direzione, il
repertorio del teatro si riempie di nuove “fantasmagorie” e – grazie ad
innovative scenografie e macchine di scena -
introduce proiezioni con la lanterna magica, nuovi effetti luminosi e
cartoni per ombre cinesi. La piccola sala in pochi anni diviene una delle
maggiori attrazioni parigine. È in questo periodo che Méliès acquista quel bagaglio artistico che
riverserà successivamente nei film da lui realizzati. La svolta avviene nel 1895, quando l’illusionista francese assistette
alla prima rappresentazione di una nuova invenzione dei fratelli Lumière: il cinematographe.
Al Grand Cafè, Méliès - rimasto entusiasta del breve filmato proiettato e della
nuova macchina presentata – avvicina i Lumiere per chiedere di poterla
acquistare. I Lumiere lo indirizzano al loro padre che possedeva un’azienda di
prodotti fotografici. Antoine Lumiere ritiene che quella del cinematografo sarà
solo una moda passeggera e proprio per questo da sfruttare in esclusiva, a
scopo puramente pubblicitario per la propria ditta. Rifiuta così di vendere a Méliès sia una macchia da ripresa sia un proiettore, anche perché
l’offerta economica del futuro regista è ritenuta bassa rispetto al valore
economico delle attrezzature[2].
Per nulla scoraggiato, l’illusionista francese si
rivolse ad un ingegnere inglese, Robert W. Paul che aveva rielaborato il
Vitascope, inventato dall’americano Thomas Alva Edison, brevettandola in
Inghilterra a suo nome. Per pochi soldi, Méliès riuscì così a realizzare il suo sogno di
realizzare film. In questa prima fase, la produzione del regista
francese è pressoché identica a quella dei Lumiere. Luois, in particolare,
concepiva il cinema come “specchio” della realtà[3].
Celebri in tal senso le prime opere, come Uscita dalle fabbriche Lumière a
Lione (1895) o L’arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat
(1898). “Il cinema delle origini fu dibattuto tra la
coscienza del carattere di autenticità di riproduzione del reale che il nuovo
mezzo assicurava e la straordinaria facilità con cui esso permetteva di
produrre simulazioni perfettamente accettabili, soprattutto dal pubblico
ingenuo e credulone che affollava i primi cinematografi” [4]. [1] Cfr. Luigi Cozzi, Il cinema di fantascienza – Volume primo (1894 –
1919), Fanucci Editore, Roma 1989 [2] Ibidem [3] René Prédal, Cinema: cent’anni di storia, Baldini & Castaldi,
Milano 2001 (1994) [4] Antonio Costa, Saper vedere il cinema, Bompiani, Milano 1985
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