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Ho scoperto che proprio a Genova vive Linda Kaiser, critica d’arte contemporanea ed esperta di Art Brut (o outsider art), in cui l’opera di Nannetti trova perfetta definizione. Infine, attraverso le musiche di Piero Milesi, sono giunto al laboratorio milanese di Studio Azzurro, al regista Paolo Rosa che girò L’Osservatorio Nucleare del Signor Nanof (vincitore a Bellaria nel 1985). Da quel vecchio VHS ho ricevuto l’emozione più grande: trenta secondi del vero Nannetti, la sua voce, la sua figura che sfugge alla cinepresa palleggiando con una pigna. Esclusi me e Linda Kaiser, tutte queste persone hanno conosciuto personalmente Nannetti e me ne hanno parlato con grande passione, dando assolutamente per scontato che fosse un raro esempio di artista. Un poeta e un illustratore preveggente (prefigurò, con anni di anticipo, il razzo a tre stadi che sarebbe andato sulla luna). Tutti mi hanno incoraggiato ad intraprendere la mia opera, ed anzi Paolo Rosa si è assunto l’impegno della regia teatrale e della produzione video. Così rinfrancato ho proceduto. Ho confrontato tutte le trascrizioni con gli ingrandimenti fotografici per giungere alla stesura definitiva dei graffiti, almeno ad oggi la più attendibile. Ho inserito tutto in un database. Dopodiché ho isolato ogni singolo pensiero, ricomponendo un mio personale ipertesto, uno dei tanti percorsi di lettura possibili. Ho individuato diverse aree omogenee: le notazioni geografiche, quelle storiche e di guerra, le esplorazioni spaziali e la cosmologia, le apparecchiature elettriche e le trasmissioni radio e tv, i metalli e la geologia, le fantasiose parentele, ed infine le escursioni puramente poetiche. Ne sono nati dieci brani lirici che ho musicato. La maggior parte sono strofe libere, a volte hanno una metrica o almeno una cadenza di riferimento. Alcune frasi portano al culmine della tensione proprio come i ritornelli della forma canzone. Ma non sono canzoni. Non appartengono ad alcun genere musicale. Non c’è allusione al pop né alla musica contemporanea, non ci sono fughe jazz né citazioni operistiche. O meglio c’è tutto questo fuso insieme. Non separabile, non individuabile, come nell’insalata di parole di N.O.F.4 c’è tutto lo scibile umano. Comporre le musiche, melodizzare i testi, scegliere gli strumenti e scrivere gli arrangiamenti non è stata impresa ardua, anzi sono stati tre mesi di puro godimento. Il momento più difficile è stato all’inizio, al momento di individuare un modo (e non un genere) musicale che uniformasse tutta l’Opera. Alla fine un suono ha preso forma, è diventato convincente. Qualcosa che più riascolto e più mi piace. Qualcosa che non avrei mai sospettato di saper fare. Forse qualcosa che avevo già dentro e che Nannetti ha suscitato, o più probabilmente qualcosa che mi è giunto direttamente dal Sistema Telepatico. Se dovessi definirmi oggi, soltanto un anno dopo, mi piacerebbe dire sono un astronautico ingegnere minerario.
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