Colpito da raggi catodici | |
di Aldo Di Marco | |
Genova, anno 2005, una sera di fine Maggio. Nell’ex cinema porno di via Colombo, miracolosamente scampato al destino di diventare un supermercato, vengono riproposti i migliori cortometraggi premiati al Genova Film Festival. L’ultimo titolo della serata è: Graffiti della Mente di Pier Nello ed Erika Manoni (vincitore a Bellaria nel 2002). Quei diciannove minuti daranno una sterzata alla mia vita. Come scoprire di avere un fratello gemello dall’altra parte del mondo. Posso provare a ripercorrerli. Al 1° minuto ho già dimenticato di guardare il video per come è realizzato, sono già immerso nel racconto (onore agli autori).
Al 2° minuto mi rendo conto che non si parla di malati di
mente in generale, non si tratta di una panoramica sulla vita all’interno
dell’Ospedale Pschiatrico di Volterra, ma si tratta di un primissimo piano
su un uomo solo: Nannetti Oreste Fernando – N.O.F.4 – come lui stesso
usava citarsi.
Al 6° minuto sono già un fan di Nannetti, è la mia rockstar, i suoi testi
hanno la capacità di svelare sogni e realtà, scienza e fantascienza, con
una disinvoltura che a noi “acculturati” è negata. All’8° minuto ricordo che PdP non faceva solo concerti (e prove estenuanti), ma svolgeva anche ‘attività di base’ sul territorio. Cercavamo di avvicinare alla musica, applicando il metodo Porena, gli alunni delle scuole elementari che svolgevano il tempo pieno. E poi operavamo all’interno dell’Ospedale Psichiatrico di Genova Quarto. Ogni mercoledì pomeriggio, giorno di visita per i parenti, animavamo con musica e danze il giardino della Terza Divisione (dov’erano ricoverati quelli più tranquilli). Al 9° minuto riconosco racconti che ho già ascoltato, dal vivo. Ricordo uno degli ospiti più giovani di Quarto che mi parlava spesso dei suoi viaggi nello spazio. Me ne riferiva nei minimi dettagli non come fatti avvenuti casualmente, come se ricordasse un sogno, ma come vere e proprie spedizioni progettate con cura. “Venerdì prossimo usciamo nello spazio, porto anche la chitarra, vieni con noi?” Al 10° minuto mi ricordo un evento storico. Era il 1979, nel corso di uno dei nostri laboratori di quartiere, invitammo Demetrio Stratos a dimostrare le sue ricerche vocali, diplofonie, triplofonie ecc. Si trovò in una stanzetta del Centro Culturale di piazzale Adriatico davanti ad una ventina di persone, le più disparate per età, cultura e gusto musicale. Fu un successo inaspettato. Demetrio non spiegò molto delle sue tecniche, semplicemente le rese musicali e tutti sembrarono capire. E aggiungerei: tutti sembrarono incoraggiare quel gigante gentile a proseguire su quella strada. All’11° minuto, ascoltando le cartoline scritte e mai spedite da Nannetti, mi sento come un perfetto neofita dell’improvvisazione jazz al cospetto della voce-flautofonica emessa da Demetrio. Non capisco nulla di cosa c’è dietro, non mi interessa nemmeno qual è il fine di quella ricerca, mi basta il suono. E’ energia e rivelazione, è poesia e fisicità contemporaneamente, è come vorrei che fosse la musica sacra.
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