Cronache del tempo veloce (II)

 

di Adolfo Fattori



Gli incolpevoli

 

…Il sistema educativo di Camiroi è inferiore al nostro… Alcuni degli edifici scolastici sono grotteschi. Abbiamo espresso meraviglia su un particolare edificio che ci sembrava

incredibilmente vistoso e pacchiano.

– Che cosa pretendete da bambini di seconda? – ci hanno risposto…

- Volete dire che sono i bambini stessi a progettarli?...

Una cosa del genere non sarebbe certo permessa sulla Terra.

Robert A. Lafferty, Associazione genitori e insegnanti

 

… un alto edificio un po’ tetro e con innumerevoli finestre che sembrava un ospedale per malattie mentali e quindi era probabilmente il liceo.

Stephen King, Il talismano

 

E quanto a dove siano finiti quei poveri ragazzi, …

, è come se avessero preso il volo da una qualche finestra e fossero svaniti nel tempo e nello spazio.”

James G. Ballard, Un gioco da bambini

 

 

Ho già descritto in un intervento precedente, apparso sul numero scorso di Quaderni il modo – che a noi può sembrare quantomeno bizzarro – con cui i giovani universitari a volte si rivolgono alle istituzioni.[1]

Sicuramente la percezione che abbiamo noi adulti di fronte a comportamenti del genere è che ci sia una abitudine a delegare, prima di tutto, agli adulti, compiti e responsabilità, per cui spetterebbe a noi – all’impiegato dell’ente – riempire il vuoto informativo lasciato dall’utente, ma, più in profondità, si intravede l’attitudine a frequentare identità semplificate, senza spessore biografico – e anagrafico – del tutto inadeguate alla complessità della condizione di cittadino.

Una conseguenza, se si vuole, della deriva dell’identità tipica della tardomodernità: dopo secoli di sviluppo dei processi di individualizzazione, appaiono identità incerte, indefinite, disorientate rispetto al reale.

Questo conforta e rafforza alcune ipotesi che la ricerca sociologica ha elaborato negli ultimi anni – anche se con difficoltà – sulle mutazioni antropologiche legate alla preminenza dei media elettronici nella  tarda modernità, in Francia, ma anche in Italia e in Gran Bretagna.[2]

Ma sono apparsi alla fine del secolo scorso, e si riferiscono appunto a quegli anni. A quel periodo di disordine e trasformazione che ha ospitato il passaggio – e visto la frattura – fra compiersi del Moderno e ingresso nella tarda modernità. E a volte risentono dell’essere troppo dentro gli avvenimenti.

Uno dei principi fondanti della ricerca scientifica si basa sulla possibilità di tenersi per così dire all’esterno dei fenomeni che si osservano, per evitare di esserne condizionati. In sociologia il principio fu espresso da Max Weber nei termini dell’esercizio della libertà dai valori quando si svolge il proprio lavoro di sociologo.[3] Esattamente questo diventa difficile quando, da sociologi – o da filosofi, come alcuni degli autori citati – si è contemporanei dei fenomeni che si vogliono studiare e analizzare, e il rischio di esprimere giudizi, non di fatto ma di valore, diventa alto.

 

Ma pur tenendo conto di questo pericolo, è utile tener conto delle considerazioni degli studiosi citati.

Bruckner, Candau e Wunenburger sono ad esempio in sintonia quando ragionano sull’uomo della contemporaneità: inconsapevole e infantile, alla fin fine, immerso com’è in una sfera mediale rassicurante e promotrice di modelli superficiali e consumistici. E la conseguenza, se ci si sposta dagli adulti ai giovani e si pensa al rapporto che hanno con i new media – prima di tutto cellulari, computer, televisione – e nel porre l’accento su personalità superficiali e ondivaghe, nomadi della realtà, stranieri a se stessi, per certi versi, come scriveva anni fa Alberto Abruzzese.[4] I giovani del tempo reale di Internet e del telefono, fatto di infiniti istanti indistinguibili l’uno dall’altro, indipendenti fra loro, privi di qualsiasi nesso di causalità, di sequenzialità temporale – e contemporaneamente irresponsabili e dipendenti… un po’ come i nostri Luther Blissett universitari…

 

Stranieri a maggior ragione per gli adulti, portati a uniformare e semplificare, a mescolare la violenza e l’illegalità urbana col disagio e l’insicurezza,  incapaci di immaginare soluzioni in tempi brevi, alla ricerca spesso di un minimo comun denominatore che non c’è, di una qualche soluzione miracolistica.

Alieni, sconosciuti e perciò spaventosi, da cui potremmo aspettarci di tutto, che per quanto ne sappiamo potrebbero tranquillamente confondere fra scuole e manicomi, e magari organizzare soluzioni estreme come quella paventata nella fosca parabola di James Ballard citata in epigrafe…



[1] A. Fattori, Caro amico ti scrivo, http://quadernisf.altervista.org/numero3/indexsf.htm .

[2] Sono gli studi cui ho già fatto riferimento, senza citarli sempre direttamente, nelle pagine precedenti. Cfr., ad es., Z. Bauman, Pensare sociologicamente, cit; La società dell’incertezza, cit.; P. Bruckner, La tentazione dell’innocenza, Ipermedium, Napoli, 2001; J. Candau, La memoria e l’identità, Ipermedium, Napoli, 2003; A. Cavicchia Scalamonti G. Pecchinenda, La memoria consumata, cit.; A. Giddens, Identità e società moderna,Ipermedium, Napoli, 1999; J.-J. Wunenburger, L’uomo nell’era della televisione, Ipermedium, Napoli, 2005.

[3] il che naturalmente non vuol dire che il sociologo non debba avere valori, ci mancherebbe altro…

[4] A. Abruzzese, Nemici a se stessi, in A. Ferraro G. Montagano (a cura di), La scena immateriale, Costa & Nolan, Genova, 1994.
 

    (1) [2] [3]