Gli incolpevoli
…Il sistema educativo di Camiroi è inferiore al nostro… Alcuni degli edifici scolastici
sono grotteschi. Abbiamo espresso meraviglia su un
particolare edificio che ci sembrava
incredibilmente vistoso e pacchiano.
– Che cosa pretendete da bambini di seconda? – ci hanno risposto…
- Volete dire che sono i bambini stessi a
progettarli?...
Una cosa del genere non sarebbe certo permessa
sulla Terra.
Robert A. Lafferty,
Associazione genitori e insegnanti
… un alto edificio un
po’ tetro e con innumerevoli finestre che sembrava un ospedale
per malattie mentali e quindi era
probabilmente il liceo.
Stephen King,
Il talismano
“E
quanto a dove siano finiti quei poveri ragazzi, …
bè, è come
se avessero preso il volo da una qualche finestra e fossero svaniti nel tempo e
nello spazio.”
James G. Ballard,
Un gioco da bambini
Ho già descritto in un intervento precedente, apparso sul
numero scorso di Quaderni il modo –
che a noi può sembrare quantomeno bizzarro – con cui i giovani universitari a
volte si rivolgono alle istituzioni.
Sicuramente la percezione che abbiamo noi adulti di fronte
a comportamenti del genere è che ci sia una abitudine
a delegare, prima di tutto, agli
adulti, compiti e responsabilità, per cui spetterebbe a noi – all’impiegato
dell’ente – riempire il vuoto informativo lasciato dall’utente, ma, più in
profondità, si intravede l’attitudine a frequentare identità semplificate, senza spessore biografico – e anagrafico –
del tutto inadeguate alla complessità della condizione di cittadino.
Una conseguenza, se si vuole, della deriva dell’identità
tipica della tardomodernità: dopo secoli di sviluppo
dei processi di individualizzazione, appaiono identità
incerte, indefinite, disorientate rispetto al reale.
Questo conforta e rafforza alcune
ipotesi che la ricerca sociologica ha elaborato negli ultimi anni – anche se
con difficoltà – sulle mutazioni antropologiche legate alla
preminenza dei media elettronici nella
tarda modernità, in Francia, ma anche in Italia e in Gran Bretagna.
Ma sono apparsi alla fine del secolo
scorso, e si riferiscono appunto a quegli anni. A quel
periodo di disordine e trasformazione che ha ospitato il passaggio – e visto la
frattura – fra compiersi del Moderno
e ingresso nella tarda modernità.
E a volte risentono dell’essere troppo dentro gli avvenimenti.
Uno dei principi fondanti della
ricerca scientifica si basa sulla possibilità di tenersi per così dire all’esterno dei fenomeni che si
osservano, per evitare di esserne condizionati. In sociologia il principio fu
espresso da Max Weber nei termini dell’esercizio della libertà dai valori quando si svolge il proprio lavoro di sociologo.
Esattamente questo diventa difficile quando, da sociologi – o da filosofi, come
alcuni degli autori citati – si è contemporanei dei fenomeni che si vogliono studiare
e analizzare, e il rischio di esprimere giudizi, non di fatto ma di valore, diventa alto.
Ma pur tenendo conto di questo
pericolo, è utile tener conto delle considerazioni degli studiosi citati.
Bruckner, Candau
e Wunenburger sono ad esempio in sintonia quando
ragionano sull’uomo della contemporaneità: inconsapevole e infantile, alla fin
fine, immerso com’è in una sfera mediale rassicurante
e promotrice di modelli superficiali e consumistici. E la conseguenza, se ci si
sposta dagli adulti ai giovani e si pensa al rapporto che hanno con i new media – prima di
tutto cellulari, computer, televisione – e nel porre l’accento su
personalità superficiali e ondivaghe, nomadi della realtà, stranieri a se stessi, per certi versi, come scriveva anni fa
Alberto Abruzzese. I
giovani del tempo reale di Internet e
del telefono, fatto di infiniti istanti indistinguibili l’uno dall’altro,
indipendenti fra loro, privi di qualsiasi nesso di causalità, di sequenzialità
temporale – e contemporaneamente irresponsabili e dipendenti… un po’ come i
nostri Luther Blissett
universitari…
Stranieri a maggior ragione per
gli adulti, portati a uniformare e semplificare, a
mescolare la violenza e l’illegalità urbana col disagio e l’insicurezza, incapaci di immaginare soluzioni in tempi
brevi, alla ricerca spesso di un minimo comun
denominatore che non c’è, di una qualche soluzione miracolistica.
Alieni, sconosciuti e perciò
spaventosi, da cui potremmo aspettarci di tutto, che per quanto ne sappiamo potrebbero tranquillamente confondere fra scuole e
manicomi, e magari organizzare soluzioni estreme come quella paventata nella
fosca parabola di James Ballard
citata in epigrafe…
il che naturalmente non vuol
dire che il sociologo non debba avere valori, ci mancherebbe altro…
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