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È la tensione alla verità dell’immagine e al rifiuto di
una “pedagogia della figuralità” che Jean-Luc Nancy[3]
indaga attraverso il mistero della parabola del Noli me tangere[4]:
una tensione che lascia emergere le contraddizioni tra figurato e proprio, tra
apparenza e realtà, e si interroga sul rapporto tra
immagine e vista. Come sottolinea Nancy,
“tra l’immagine e la vista non vi è imitazione, bensì partecipazione e
penetrazione. Partecipazione della vista al visibile e del
visibile, inversamente, all’invisibile che altro non è se non la vista stessa”[5].
Nell’atto del vedere e nell’oggetto di tale azione, l’immagine o figura, si
coglie dunque un “sovrappiù di visibilità, o meglio un doppio sovrappiù di
visibilità e di invisibilità”[6].
Il senso implicato nel vedere è “passione inauguratrice
di ogni sorta di senso, sensato, sensitivo o sensuale”[7]:
passione che si rinnova e si alimenta anche in maniera non consapevole in gesti
e pratiche quotidiane segnate dalla mera fruizione di un prodotto televisivo,
organizzato più come meta-testo che come testo e che, nel rimandare ad altri
testi, accoglie le letture dei suoi tanti pubblici eppure sfugge alla banalità
della didascalia. I protagonisti, gli eroi, i divi, impersonano lo spirito del
tempo, ne sono essi stessi un prodotto che, pertanto,
sarà facile imitare. Per mera forza di mimesis, infatti, tutti sono pronti a ripetere e a
riconoscersi in un gesto che è già alla moda. Come una canzone popolare. Come
una danza rituale. E come le leggende tradotte in rime dal
poeta. Tra esercizio epistemico ed
esercizio estetico si pone dunque la possibilità per produzioni e broadcasting
di offrire oggetti di grande appeal
nei quali intere generazioni possono riflettersi e riconoscersi, in un doppio
gioco di presenze-assenze che, come nelle notti
bianche[8], sono
al confine tra sogno e realtà, vita e morte, gioia e
dolore. L’importante è che tutto si ripeta, così da lasciare allo spettatore il
sano desiderio di addentrarsi sempre più in una materia a lui tanto nota quanto distante.
È il destino della società dello spettacolo e della sua
saturazione? O piuttosto la giostra dell’umanità e
della sua sete di conoscenza che continua a girare? Intanto scorrono i titoli di coda accompagnati dalla
colonna sonora e l’occhio si attarda ancora rivolto allo schermo come a voler
afferrare, toccare, trattenere, il gusto di quanto appena visto e già passato,
ma che un gesto remoto sul rewind può sempre
riportare presente! Basta sfiorare il tasto giusto e sei già dentro…: telepresenza che si insinua e non
lascia traccia, ma che legittima l’oggetto del suo tele-vedere ed exsistere.
[2] Josè Saramago, 1995, Cecità, tr. it., Torino, Einaudi, 1996. Cfr. inoltre dello stesso autore Saggio sulla lucidità. [3] Jean-Luc Nancy, 2003, Noli me tangere. Saggio sul levarsi del corpo, tr. it., Torino, Bollati Boringhieri, 2005. [4] Ci si riferisce all’episodio del Vangelo di Giovanni in cui Gesù si rivolge con questa intimazione, traducibile con ‘non mi toccare’ o ‘non mi trattenere’, a Maria Maddalena che, giunta al sepolcro, si protende verso lui. [5] Jean-Luc Nancy, 2003, op. cit., p. 15. [6] Idem, p. 16.
[7] Idem, p. 14.
[8] Fëdor
Michajlovič Dostoevskij,
1848, Notti bianche, tr. it., Roma, Newton Compton editori,
1994.
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