Cadaveri squisiti e delizie della conoscenza carnale:
CSI e Grande Fratello
di Maria D'Ambrosio

 


La forza dell’apparenza non basta più allo spettatore perché questi si possa dire appagato della sua necessità di sapere, di conoscere. Questi ha imparato che la realtà che gli si fa presente è fatta di bit, di pixel, di frammenti. In piena era elettrica, sa che lontano e vicino sono astrazioni di cui non dover tener conto. Il suo punto di vista è, per dirla con de Kerckhove, sempre più tattile e sempre più misura del suo essere e della sua capacità di azione e di conoscenza. Lucidità e cecità, temi cari anche a Josè Saramago[2], non rappresentano più gli opposti contrari su cui si regge la distinzione tra evo antico e evo moderno. Il buio, l’ombra, l’occulto, invitano alla scoperta, alla investigazione, alla indagine. Proprio come un crimine per la squadra dei capaci poliziotti di CSI. E proprio come il nulla rivestito di drama delle stanze della casa o del confessionale del Grande Fratello per i suoi fan da casa. Varcare la soglia del privato e penetrarvi, è cosa facile e lecita. Basta farlo con gli strumenti giusti. Sembrerà discreto quasi come mantenersi in superficie. L’occhio indiscreto, pur nell’essere intrusivo, mantiene le distanze e allo stesso tempo si fa capace di inaugurare un nuovo senso comune, interprete di un desiderio che supera anche le possibilità del toccare e ha quasi del prodigioso.

È la tensione alla verità dell’immagine e al rifiuto di una “pedagogia della figuralità” che Jean-Luc Nancy[3] indaga attraverso il mistero della parabola del Noli me tangere[4]: una tensione che lascia emergere le contraddizioni tra figurato e proprio, tra apparenza e realtà, e si interroga sul rapporto tra immagine e vista. Come sottolinea Nancy, “tra l’immagine e la vista non vi è imitazione, bensì partecipazione e penetrazione. Partecipazione della vista al visibile e del visibile, inversamente, all’invisibile che altro non è se non la vista stessa[5]. Nell’atto del vedere e nell’oggetto di tale azione, l’immagine o figura, si coglie dunque un “sovrappiù di visibilità, o meglio un doppio sovrappiù di visibilità e di invisibilità”[6]. Il senso implicato nel vedere è “passione inauguratrice di ogni sorta di senso, sensato, sensitivo o sensuale”[7]: passione che si rinnova e si alimenta anche in maniera non consapevole in gesti e pratiche quotidiane segnate dalla mera fruizione di un prodotto televisivo, organizzato più come meta-testo che come testo e che, nel rimandare ad altri testi, accoglie le letture dei suoi tanti pubblici eppure sfugge alla banalità della didascalia. I protagonisti, gli eroi, i divi, impersonano lo spirito del tempo, ne sono essi stessi un prodotto che, pertanto, sarà facile imitare. Per mera forza di mimesis, infatti, tutti sono pronti a ripetere e a riconoscersi in un gesto che è già alla moda. Come una canzone popolare. Come una danza rituale. E come le leggende tradotte in rime dal poeta.

Tra esercizio epistemico ed esercizio estetico si pone dunque la possibilità per produzioni e broadcasting di offrire oggetti di grande appeal nei quali intere generazioni possono riflettersi e riconoscersi, in un doppio gioco di presenze-assenze che, come nelle notti bianche[8], sono al confine tra sogno e realtà, vita e morte, gioia e dolore. L’importante è che tutto si ripeta, così da lasciare allo spettatore il sano desiderio di addentrarsi sempre più in una materia a lui tanto nota quanto distante. 

È il destino della società dello spettacolo e della sua saturazione? O piuttosto la giostra dell’umanità e della sua sete di conoscenza che continua a girare?

Intanto scorrono i titoli di coda accompagnati dalla colonna sonora e l’occhio si attarda ancora rivolto allo schermo come a voler afferrare, toccare, trattenere, il gusto di quanto appena visto e già passato, ma che un gesto remoto sul rewind può sempre riportare presente! Basta sfiorare il tasto giusto e sei già dentro…: telepresenza che si insinua e non lascia traccia, ma che legittima l’oggetto del suo tele-vedere ed exsistere.

 


[2] Josè Saramago, 1995, Cecità, tr. it., Torino, Einaudi, 1996. Cfr. inoltre dello stesso autore Saggio sulla lucidità.

[3] Jean-Luc Nancy, 2003, Noli me tangere. Saggio sul levarsi del corpo, tr. it., Torino, Bollati Boringhieri, 2005.

[4] Ci si riferisce all’episodio del Vangelo di Giovanni in cui Gesù si rivolge con questa intimazione, traducibile con ‘non mi toccare’ o ‘non mi trattenere’, a Maria Maddalena che, giunta al sepolcro, si protende verso lui.

[5] Jean-Luc Nancy, 2003, op. cit., p. 15.

[6] Idem, p. 16.

[7] Idem, p. 14.

[8] Fëdor Michajlovič Dostoevskij, 1848, Notti bianche, tr. it., Roma, Newton Compton editori, 1994.

 

    [1] (2)