Truman dacci oggi il nostro show quotidiano

 

di Melania Di Gennaro



Fino a che non diventeranno coscienti del loro potere

non saranno mai capaci di ribellarsi.

Fin quando non saranno liberati,

non diventeranno mai coscienti del loro potere.

George Orwell

 

Il giovane Truman è la star inconsapevole di una soap-opera che ha per oggetto la sua stessa vita. È il primo essere umano adottato da un Network televisivo, un esperimento unico e irripetibile data l’inconsapevolezza del protagonista.

Ogni suo movimento, da quando è nato, è stato ripreso da migliaia di telecamere nascoste ovunque e tutte le persone che lo circondano non sono altro che attori arruolati per guidare le sue azioni, condizionarlo, distrarlo e imprigionarlo in quel suo mondo che corrisponde solo ad un’idea di realtà che di reale non ha nulla in quanto è un enorme set televisivo.

Siamo sul set – simulato e metasimulato – di uno dei più importanti film degli ultimi vent’anni, The Truman Show.[1]

Truman trascorre trent’anni della sua vita immerso nella pura illusione di vivere, mentre in realtà non fa altro che seguire uno script, un copione precostituito. La sua è un’identità artificiale costruita sulla base di un destino altrettanto artificiale che il regista ha scritto per lui ancor prima che nascesse. La città in cui vive Truman è un’isola sormontata da un’enorme cupola e Truman, che è terrorizzato dall’acqua, non potrà mai lasciarla. Quest’attore inconsapevole è l’unica persona “reale” sulla scena. Non a caso scomponendo il suo nome otteniamo due parole che rispecchiano la sua essenza: true =vero e man = uomo. La sua vita in apparenza è un sogno che si trasformerà in un incubo non appena si sveglierà.

Possiamo articolare il film in tre momenti:

- in una prima fase Truman vive in perfetta sintonia con l’ambiente artificiale che lo circonda;

- in una seconda fase accade qualcosa che  si interpone tra lui e le sue tranquille certezze, Truman, senza destare sospetti continua la sua recita a metà strada tra consapevolezza e incredulità, dedicando uno sguardo sempre più attento a ciò che accade attorno a lui e si accorge di quanto sia tutto astutamente falso e costruito;

- infine abbiamo la completa ribellione verso tutti, verso l’intero sistema che ha reso la sua vita uno spettacolo. Tale ribellione lo spinge ad affrontare la sua più grande fobia: l’acqua, essendo essa l’unica via di fuga da quell’incubo.

In pratica, le sue giornate si ripetono uguali l’una all’altra, scandite come sono dal tempo degli spot pubblicitari all’interno della soap in cui vive, e dai tempi – seriali e preordinati – della vita quotidiana dei suoi spettatori, imprigionati anche loro, forse altrettanto inconsapevolmente, in vite dirette dall’esterno, guidate dalla versione tardomoderna della soddisfazione dei bisogni elementari: mangiare, vestirsi, riprodursi – e emozionarsi per procura, attraverso le vicende di un eroe del piccolo schermo.

Ma Truman, improvvisamente, si ribella: rivendica il diritto di riappropriarsi della sua vita – di appropriarsi di una vita – di costruirsi una identità che non sia pre-scritta sulla carta, di andare incontro al suo destino come ogni essere libero. Rivendica il desiderio di vivere come un nessuno qualunque.


[1] P. Weir, The Truman Show, USA, 1998.


 

    (1)  [2]