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Proverò a proporre quindi indizi, tracce, stimoli che spero
ci permettano di orientarci in questo nuovo mondo nato dallo sviluppo della
comunicazione e della connessione, e dalle conseguenze della globalizzazione.
In sostanza, l’insieme dei fenomeni che hanno portato ad
indicare la nostra epoca come quella della virtualizzazione del reale, dell’individualizzazione estrema, della deresponsabilizzazione, come
effetti dell’espansione delle comunicazioni di massa, della fine dell’economia
fondata sulla fabbrica, della
crescita degli hinterland metropolitani, di una nuova definizione della
mobilità territoriale e sociale. Tutti fenomeni che si abbattono sulla struttura delle
singole identità, che sono sempre frutto della dialettica fra pulsioni e
bisogni individuali e influenze della collettività di cui si fa parte. D’altra parte, il solo fatto che si discuta ancora del
problema negli stessi termini di qualche anno fa, è il primo elemento della mia
discussione. Non è mai immediata la comprensione dei fenomeni sociali. Da
parte dei singoli, perché, essendone coinvolti, troviamo difficoltà a porci
idealmente al di fuori del processo e ad osservarlo dall’esterno per capirne le
implicazioni. Da parte delle istituzioni, perché per la loro natura di organismi
complessi e articolati, richiedono tempo per spiegarsi le catene di eventi e
cercare soluzioni ai problemi. E quindi, ci troviamo molto spesso ad arrancare dietro il
cambiamento e, in epoche di mutamento veloce come la nostra, arriviamo a
descriverci e a spiegarci le novità del mondo quando queste già non sono più
novità, quando sono già superate. Succede nella ricerca e nella letteratura politica, come in
quella filosofica e sociologica. Costruire teorie non è immediato, né semplice.
Non dovremmo far fatica a ricordare come già negli anni 50 si fece più evidente lo scarto fra la cultura dei giovani e degli adulti di
allora. Anzi, possiamo affermare che proprio in quegli anni – a partire dagli
Stati Uniti e dalla diffusione dell’american way of life nell’Occidente
sviluppato – nascono i giovani come
categoria sociale. Il benessere diffuso, l’imporsi di nuovi valori e nuove
opportunità permette la gestione di una vita scolastica più lunga, di una
frazione maggiore di tempo libero, lo
sviluppo di una vera e propria cultura
giovanile fatta di abbigliamento, di musica, di letture – di consumi,
insomma – e di un linguaggio specifici.
Nell’incomprensione e nel rifiuto reciproci con gli adulti. Ma – al di sotto di questi fenomeni, estremamente evidenti
– un terreno comune fra le generazioni rimaneva. La memoria collettiva resisteva,in termini di valori, aspettative,
modelli, probabilmente garantita dalle attese socialmente condivise di un
futuro ricco e positivo, di prospettive ottimistiche e rassicuranti. Lo
sviluppo, la promozione sociale, il successo – almeno in Occidente – erano
possibilità evidenti e aperte a tutti, sotto la spinta del progresso
scientifico e tecnologico. Comincia il tempo
della televisione, ottimista, progressivo e alla portata di tutti. E
infatti, questi giovani, una volta diventati adulti, si reinseriranno nel
flusso della “responsabilità”, dimenticheranno le trasgressioni giovanili, e riscopriranno
per molti versi valori e abitudini dei propri genitori, salvando così la
continuità della memoria collettiva, rimanendo negli anni 70 a loro volta disorientati
quanto i loro genitori dalla “ribellione” dei propri figli.[4]
E la storia si ripeterà negli anni 80–90 del secolo
scorso. Senza le esplosioni e la portata del 1968 e dei movimenti
di massa, ma in maniera sotterranea e sommessa, attraverso un distacco che
procede lento ma costante, una presa di distanza, per molti versi
inconsapevole, fatta di incomunicabilità, di intraducibilità di un mondo – quello giovanile – nell’altro. Non si tratta più di rivendicare “altri mondi possibili”,
a partire dagli stessi valori e dagli stessi linguaggi: qui si tratta di un
allontanamento legato ad un abitare un
mondo differente. Se infatti, come accennavo più sopra, l’identità è frutto
di un processo dialettico di riconoscimento e negoziazione di significati, di sensi da dare al reale, che avviene
attraverso i processi di socializzazione, primaria e secondaria, in questi anni
si è ormai introdotto un “terzo incomodo”: prima la televisione, poi i primi
computer. Mezzi di informazione e di conoscenza, che diventano potenti
strumenti di socializzazione, rendendo letterale la metafora del rispecchiamento continuo fra giovani e adulti, fra
destinatari e artefici della socializzazione.
[4] Teniamo conto in questo ragionamento di una “regola”, di una consegna cui dobbiamo attenerci: pensiamo alle abitudini quotidiane e ai costumi, non tanto ai valori assoluti e alle grandi scelte, nel provare a individuare le tracce del “conflitto generazionale”.
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