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di Adolfo Fattori |
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Il contemporaneo, definito anche come era dell’accesso, è intriso di comunicazione e connessione. I linguaggi si moltiplicano e integrano fra loro. E i soggetti sperimentano sempre nuove forme di relazione e di cittadinanza, nell’arena sociale che è mercato, scena, ecumene.
Maria D’Ambrosio,
Cantieri
Da un certo punto di vista si può dire che ‘adesso’ Internet esiste, prima c’era il Web 1.0, avvero molto rumore e pochi fatti. Adesso il rumore è quasi
scomparso del tutto e c’è una realtà Internet molto diversa da prima.
Marco Zamperini, in
La
Repubblica
La polarizzazione tra gruppi svantaggiati e gruppi integrati è sempre più ampia. Fenomeni sociali di marginalità e disagio emergono con forza a parlare di condizioni di arretratezza contrapposte a fenomeni di più decisa modernizzazione. Maria D’Ambrosio, Cantieri
La guerra contro la povertà è finita. E i poveri l’hanno persa.
Francis
Fukuyama Mio figlio ha diciassette anni. È iscritto in un buon liceo,
non studia certo con un impegno che noi adulti possiamo riconoscere come
responsabile – galleggia, per certi versi, attraverso gli anni e le discipline
– ma è attivo, curioso, consapevole del reale che lo circonda. Suona la
chitarra elettrica, legge libri di science fiction,
storia, attualità politica, e il quotidiano – ogni giorno. Vede i suoi amici a
scuola e il sabato sera, viaggia su Internet e usa msn messenger e il telefonino per comunicare.
Come ogni adolescente, risponde a volte in modo brusco e
arrogante alle nostre obiezioni e alle nostre richieste di accordi su orari di
rientro, tempi dello studio, e così via…
È insomma un ragazzo come tanti della sua età, della sua
collocazione sociale. Simili e solidali nell’impegno, nelle passioni, negli
“strumenti del comunicare”. È completamente immerso nell’era dell’accesso, come la definisce la sociologa Maria D’Ambrosio in Cantieri.[1]
È quindi del tutto dentro il suo tempo. Un tempo veloce, in cui i cambiamenti procedono a grande velocità. E
che noi facciamo fatica a percepire in
tempo reale. Cosa che invece i più giovani fanno con facilità. Per loro è
normale: sono nati nel tempo dell’accelerazione
del mutamento – nutrito prima di tutto dagli sviluppi vertiginosi,
nell’ultimo mezzo secolo, delle tecnologie della comunicazione e
dell’informazione. Nell’intervista citata in epigrafe, Zamperini
ricorda che la maggior parte degli utenti della Rete ha meno di trent’anni.[2] Pure, spesso non lo riconosciamo come responsabile,
consapevole, coerente. “Noi – ci diciamo
– eravamo diversi”. Ci preoccupa il suo destino, quella che percepiamo come
disattenzione al proprio futuro. Naturalmente, lavorando mia moglie ed io perlopiù con i
cosiddetti “adolescenti a rischio” siamo consapevoli che, in ogni caso, la sua
è una condizione privilegiata. Come sappiamo che una condizione latente – a
volte esplosiva – di disagio è connaturata alla dimensione dell’adolescenza –
ne è un tratto distintivo. E quindi dovremmo essere ormai – tutti – consapevoli di
alcuni dati di fatto: la condizione di disagio degli adolescenti, la condizione
di estraneità, opposizione, illegalità (almeno da noi percepita come tale) dei
giovani degli strati più svantaggiati – in gran parte, sempre di più, anzi, esclusi dalle opportunità del contemporaneo,
del postindustriale. Le possibilità
offerte dalla “connessione” e dalla “comunicazione” a loro sono precluse. Anzi,
come nota ancora la D’Ambrosio, da questo punto di vista le cose sono
peggiorate. Ancora più esplicito e cinico è l’economista americano Fukuyama. E noi sappiamo che la povertà genera esclusione –
e illegalità. È d’altra parte un dato di fatto che la percezione del
rischio sociale, il tasso di insicurezza, il senso di imbarbarimento della vita
quotidiana, specialmente nella nostra città (Napoli), siano aumentati
vertiginosamente negli ultimi tempi, alimentati da episodi che sentiamo (a
torto o a ragione, questo non ha importanza nella logica dell’immaginario
collettivo e delle rappresentazioni sociali) come picchi, cime di un iceberg dell’inciviltà e dell’illegalità
ampiamente sommerso e opaco, ma non per questo meno virulento e invasivo. È inoltre un dato di fatto che un forte senso di insicurezza
di sottofondo sia una cifra di tutte le metropoli contemporanee, forse di tutti
gli individui, ampiamente analizzato dai sociologi, in particolare da quelli di
scuola britannica: “società del rischio”, “società dell’incertezza”,
“estraneità totale”.[3] Il nostro mondo ci appare alieno e sconosciuto, il nostro
futuro incerto e pericoloso. Una dimensione esistenziale che va oltre la
contingenza concreta del pericolo quotidiano, ma finisce per acquistare una portata
quasi metafisica, non a caso legata a due categorie fondamentali: i tempi in cui viviamo, i luoghi che abitiamo. Proprio per questo motivo, preferisco invece offrire alcune
riflessioni – generali e “di scenario” – che potrebbero fare da sfondo ad un
futuro dibattito, sempre – mi sembra – più urgente.
[1] M.
D’Ambrosio (a cura di), Cantieri,
Tullio Pironti Editore, Napoli, 2003.
[2] G. Turani, Internet e
cellulari: inizia la ‘fase 2’, “La Repubblica Affari & Finanza”,
23/1/06, pagg. 1,2,3.
[3] Cfr.: A. Giddens, Identità e società moderna, Ipermedium, Napoli, 1999; Z. Bauman,
Pensare sociologicamente,
Ipermedium, Napoli, 2000; La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1999.
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