The Days of Mars
Delia Gonzalez & Gavin Russom

Astralwerks

 





 
The Days of Mars
di
Delia Gonzales & Gavin Russom


Chi ricorda le pulsazioni elettroniche di Phaedra (Tangerine Dream) troverà familiare l’universo sonoro esplorato da Gonzalez & Russom sin dalle battute iniziali di Rise, il brano d’apertura.  Chi ha amato quelle avventure musicali, ne troverà qui rinverditi i fasti. Il battito intermittente prodotto dai sintetizzatori continua, dunque, ad essere il suono delle macchine per eccellenza, la migliore suggestione musicale per i viaggi nello spazio, esterno o interno poco importa. Motivo per cui lo storico gruppo tedesco non ha mai smesso di generare epigoni, anche rispettabilissimi come i Node e i Radio Massacre International. La rilettura del duo americano, però, è più disinvolta, meno ancorata ai sacri dettami dei corrieri cosmici del tempo che fu. In più di un momento si ritrova quella insostenibile leggerezza espressa al loro esordio dagli Air, altro duo, francese, innamorato della space age e poi smarritosi in un easy pop un po’ pasticciato. Gonzalez & Russom si sono fatti conoscere con il brano El Monte incluso nellla DFA Compilation #2, antologia degli artisti che incidono per l’etichetta DFA. La coppia per l’occasione ha fatto proprio tutto da sola, costruendosi anche i sintetizzatori impiegati per eseguire i brani: quattro, ognuno di circa dodici minuti. Suddivisione di comodo, poiché, in realtà tutto scorre come una sola traccia in quattro movimenti, come è nella natura dell’elettronica pop. Relevée, il terzo brano si lascia preferire di un soffio, ma tutto il lavoro risulta godibile, giocato con abilità sul raffinato intreccio di timbri vintage e ritmi futuribili.

Si riconferma qui quel sottile filo rosso che collega la musica elettronica all’intrattenimento e alle sonorizzzazioni d’ambiente.

Un campo vasto esplorato da Esquivel a cavallo fra i Cinquanta e i Sessanta, dando luogo a perfetti sottofondi per la scena domestica degli scapoloni americani, quelli superdotati di impianti hi-fi;  un genere affine nello spirito a quello inventato dai Tangerine Dream (dedicato ad una generazione successiva), carburante ideale per i viaggi della mente. Esperienze musicali con intenti analoghi si ritroveranno poi in Brian Eno, il non musicista dedito a regalare emozioni intellettuali ai cuori very cool, quelli affascinati dai rumori del paesaggio circostante, sempre più costellato di rovine post-industriali. Genere mai estinto, che si ritrova negli etno-ambient del meticciato musicale di fine Novecento.

Una curiosità: il disco è ispirato all’omonimo romanzo di Winifred Bryher dedicato alla guerra civile americana (!).

 



 

Recensione di Gennaro Fucile