La strana coppia a caccia di X-Files

 

di Emilia Di Furia

 

 

Il 29 giugno del 1994, alle 22,26, su Canale 5, con l’episodio  Al di là del tempo e dello spazio inizia l’avventura italiana di X-Files, telefilm sospeso tra le atmosfere fantascientifiche della storica serie Ai confini della realtà[1] e il clima da incubo di provincia dell’indimenticato Twin Peaks, che iniziato in sordina, è in seguito diventato un cult in Italia e nei sessanta paesi dove è stato trasmesso. Esempio unico nel panorama televisivo a tutti i livelli, la serie narra le indagini di due agenti dell’FBI, Fox Mulder (David Duchovny), Dana Scully (Gillian Anderson), alle prese con casi (gli X-Files appunto) legati a fenomeni paranormali. Secondo  Gianni Canova: “X-Files,  in fondo, è la sintesi delle due grandi culture che hanno creato la modernità: il Romanticismo e l’Illuminismo. Fin dal titolo: X è l’incognita legata al mistero, al dubbio, all’enigma tipici della cultura Romantica. Files rinvia invece alla  razionalità , all’ordine, alla capacità della mente umana di ridare senso al mondo e riordinarlo”[2]. 

The X-Files  ha la prerogativa di essere non solo uno dei rari esemplari di esplorazione del macabro che abbia trovato asilo regolare su un canale televisivo in anni recenti, ma di essere partito veramente da zero....

Vale a dire, uno spettacolo che ha trovato il suo pubblico senza il beneficio di un grosso successo televisivo trasmesso in precedenza, che avesse aperto la strada. Infatti, tenuto conto del fatto che ogni serie televisiva deve superare un grande numero di difficoltà per raggiungere il successo, The X-Files sembrava condannato fin dall’inizio[3]. Tanto per cominciare, se si eccettuano Star Trek e le sue varie diramazioni successive, nei dieci anni precedenti all’inizio della serie, la fantascienza in TV non aveva certo incontrato molta fortuna, e con le sole eccezioni di Twin Peaks (anni 90) e Ai confini della realtà (negli anni 50 e 60), gli spettacoli che, di quando in quando, avevano osato mostrarsi appena un po' bizzarri erano stati ancora più rari.

In un settore dove poi il rispetto delle formule è un luogo comune, The X-Files sfidava ogni classificazione semplicistica, trovandosi addirittura descritto come “dramma poliziesco” da un’agenzia pubblicitaria appena prima del suo episodio pilota.

La serie si occupa soprattutto di UFO e di altri casi bizzarri, ma non mancano gli scambi di battute  umoristiche fra i personaggi principali e le allusioni a oscure manovre del governo che cerca di occultare proprio quelle informazioni che Mulder e Scully vogliono svelare al mondo. Questi elementi caratteristici sono ormai noti ai più come la “mitologia” della serie, e hanno contribuito a definirla almeno quanto la vena macabra e spettrale che ne costituisce il marchio di fabbrica, dando origine a battute ormai di uso generale come “Voglio credere !” e “ Non fidarti di nessuno!”

(che pian piano è andato a sostituire il vecchio “proverbio” degli Hippies californiani secondo il quale non ci si doveva fidare di nessuno che avesse più di trent’anni).

 

 

[1] Ai confini della realtà : telefilm che tra il 1959 e il 1964 affascinò gli spettatori, con puntate autoconclusive, verosimili e inquietanti. Ogni finale era una sorpresa, e non sempre nel segno della tranquillità, del trionfo della ragione. Anzi, incrinava ogni volta il tranquillo ottimismo del sapere che aveva caratterizzato la fantascienza classica, che rimetteva sempre le cose a posto  secondo la prospettiva terrestre. (Specchio della Stampa, del 4/1/1997, n. 50, pag. 66)  

[2] Tratto da una  intervista televisiva  contenuta in Target,  trasmissione di Italia 1,  del 6/12/1996.

[3] Tanto è vero che la Fininvest non riponendo molta fiducia nella creatura di C. Carter propose all’inizio, i primi episodi (13) senza tener conto dell’ordine di proiezione originale, dando la precedenza a quegli episodi che contenevano argomenti insoliti più “canonici”  (i serial killer, la clonazione, ecc.) (cfr. La guida ufficiale a The X-Files , di Lowry Brian,  Milano,  I Grandi Tascabili Bompiani, 1996).

 

 

 

    (1)  [2] [3]