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Creativi,
creatori e ricreati
A volte gli universi paralleli nascondono una terribile
verità: è il nostro mondo ad essere parallelo ad un altro, ma a quello reale,
mentre il nostro è solo simulato. Una trilogia immaginaria conforta questa
tesi. Truman Show di Peter Weir è figlio dei complotti metafisici di
Philip K.
Dick (rieccolo!), degli universi che si sfaldano, delle identità che si
sbriciolano e delle friabili certezze che questa dialettica origina. La summa
di questo delirio scaturito da dosi massicce di iperrealtà si ritrova in Ubik[13].
Le storie di Dick, a loro volta, sono figlie degli spot realizzati (anche
questi) dall’agenzia Young&Rubicam per la campagna pubblicitaria voluta da
Centromarca, l’associazione delle aziende di marca, per i propri cinquant’anni.
La genealogia temporalmente è squinternata, ma a Dick non dispiacerebbe. Basta
scorrerli di seguito. Truman, intanto. Un giovanottone della provincia americana
ripreso sin dal momento in cui viene partorito da uno sciame di telecamere che
trasmettono in diretta la sua vita ad una platea mondiale di telespettatori.
Vive in un set, circondato da attori. Il tempo, la storia, le emozioni, gli
affetti, la vita, tutto reale, ma solo per lui. Qualcuno ha creato tutto ciò
che Truman ha ritenuto reale. Qualcuno chi? Nel film di Weir si chiama Christof, ma il suo nome è Ubik e vive in ogni dove. Ubik può essere fiocchi
d’avena tostati, deodorante in versione spray o stick, rivestimento plastico
per superfici o condimento per insalate. Ubik, il signore che precede la creazione,
si mostra solo quando le apparenze perdono consistenza, la realtà si crepa ed
emerge l’immanenza della merce. Un’epifania che Diego Gabutti riassume
così:“Senza la mediazione della merce e senza la sua feticizzazione nel denaro
i rapporti sociali si dissolverebbero e così tutto ciò che vi si connette: la
sfera privata, quella inconscia, l’amore per il prossimo e la coscienza
sociale. Senza Ubik, non esisterebbe neanche più la storia”[14].
Qualcuno, Ubik, ha creato tutto ciò che abbiamo ritenuto reale. Dick non ha
dubbi:“ Io sono Ubik. Prima che l’universo fosse, io sono. Ho creato i soli. Ho
creato i pianeti. Ho creato gli esseri viventi e i luoghi in cui essi vivono:
io li comando a mio giudizio. Io sono chiamato Ubik, ma questo non è il mio
nome”. Qualcuno? Ubik? Forse la storia è un’altra. Revisionismi
stellari
La storia, in Italia, comincia cinquanta anni fa, secondo
i racconti della Genesi versione Young&Rubicam. L’epifania del reale si
intitola “Le tue marche la tua storia”, ovvero non avrai altra storia
all’infuori di noi marche che abbiamo amorevolmente assistito e partecipato ad
ogni momento della tua vita, da quando eri in fasce a quando sei diventato a
tua volta genitore. Osservando con discrezione, una candid camera riprende gli
avvenimenti, li determina. Un incubo rosa. Gli oggetti che furono prodotti e
divennero marche ci guardano da sempre, sono tra noi, si occupano di noi, ci
studiano, registrano le nostre reazioni, le catalogano nella biblioteca
universale delle ricerche di mercato dove, trasformate in dati, sono sottoposte
ad esegesi da sociologi, da istituti di ricerca, da team variegati di studiosi,
poi l’attesa, il vaticinio, sacro verdetto: il consumatore è soddisfatto,
oppure no, o solo in parte. Vale anche quando il prodotto deve venire alla
luce. Si scrutano i desideri, si seguono i segnali magari deboli di nuovi
bisogni, si percepisce l’emergente e si concepiscono i trend in un tripudio di
sensi artificiali. Qualcuno ne produce anche teoria alta e il tono del
professor Fabris è eloquente in tal senso, diverso da quello ispirato in stile
new age di Francesco Morace, per citarne un paio. Stili diversi di vita del
sociologo che lavora per il mercato e poi, letto il futuro, si ritira in attesa
di nuove committenze, mentre il prodotto è affidato alle cure sapienti del
marketing, della pubblicità, della ricerca e sviluppo oppure è lasciato nelle
mani del consumatore per trascorrere tranquillo il suo ciclo di vita fino a
morte naturale. La fiaba di Young&Rubicam, come tutte le fiabe perturba,
agisce in zone profonde, ma essendo una fiaba moderna colloca il profondo in
superficie: è quello che si vede. Individui che non hanno storia se non grazie
alle marche, non vivono passioni in assenza di prodotti in grado di esprimerle,
non possiedono personalità al di fuori di quella indicizzata nella scelta degli
oggetti. Soprattutto persone che non hanno un punto di vista, perché il solo
sguardo ammesso è di marca, l’unico in grado di storicizzare le vicende umane,
emarginando il prima della marca in una preistoria senza tempo. I revisionismi
storici di recente generazione impallidiscono di fronte all’audacia propria
dell’innovazione di marca: la riscrittura del Libro dei libri. Si è detto che
l’Antico Testamento è la prima e la più grande saga di fantascienza, ebbene lo
spot Centromarca è l’ultimo episodio, anzi il primo, un po’ come in Star
Wars,
dove le vicende iniziali sono narrate dopo. Vie di fuga? Nessuna. Spostarsi in un universo parallelo,
significa ritrovare il medesimo stato delle cose e lo spot Telecom è eloquente
in tal senso. Vie di fuga? Almeno iniziare a capire, almeno queste due
storie. Forse, entrambi gli spot sono romanzi di sf in MP3, compressioni del
testo dei testi della fantascienza: Assurdo universo di Frederic Brown[15].
Sono spot che stanno alla pubblicità televisiva come questo romanzo sta alla
letteratura di fantascienza sugli universi paralleli. Che cosa racconta Brown?
Il protagonista del romanzo dirige un periodico di sf e viene catapultato in un
universo inventato proprio da un lettore della sua rivista che, di quel mondo,
è l’eroe incontrastato. In questo modo, Brown spiega i meccanismi che
presiedono alla costruzione di una storia di sf, realizzando un metaracconto
sull’onnipotenza di ogni creatore. Gli universi paralleli e i viaggi nel tempo,
in altri termini, non raccontano il futuro, ma riscrivono il passato. Questi
spot fanno altrettanto. Non soltanto esibiscono le meraviglie della scienza e
della tecnica, non si accontentano di narrare il futuro che il presente sogna,
ma rimodellano il passato. Una tensione esistenziale propria di ogni marca/prodotto
che, a sua immagine e somiglianza, crea un proprio universo tolemaico al 100% e
desidera riscrivere la storia del mondo. Una storia che inizia con un Big Bang
orecchiabile e che, probabilmente, suona come un jingle. [13] Philip K. Dick, Ubik, Fanucci, Roma 2003 [14] Diego Gabutti, Dizionario della fantascienza, Milano Libri, 1981 [15] Frederic Brown, Assurdo universo, Urania Collezione n. 16, Mondadori, Milano 2004
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