Nelle prime cento pagine di questo romanzo non aspettatevi
granché se siete appassionati di fantascienza e godetevi un
Jack London crudo e poetico, impegnato a denunciare gli orrori
delle carceri di massima sicurezza, tratteggiando la miseria e
la grandezza dell’uomo quando è posto in situazioni estreme.
Scritto nel 1915 e ambientato due anni prima, racconta di
Darrel Standing, rinchiuso nel braccio degli assassini di San
Quentin, in California, e delle violenze che subisce dalle
autorità carcerarie convinte che egli sia la mente di un piano
d’evasione con tanto di dinamite introdotta clandestinamente in
carcere. Gli interrogatori si moltiplicano e le sedute a base di
camicia di forza in cella d’isolamento aumentano
esponenzialmente. Standing condivide la malasorte con altri due
compagni di disavventura, Ed Morrell
e Jack Oppenheimer con i quali comunica grazie a un
alfabeto Morse artigianale inventato da Morrell: colpi battuti
sul muro della cella. Sarà Morrell a iniziare Standing
all’arte della piccola morte, tecnica di sospensione delle
attività vitali in grado di far sopportare i periodi sempre più
lunghi trascorsi nell’abbraccio soffocante della camicia di
forza sadicamente impostagli. Durante queste performance
Standing scopre di possedere un io eterno già incarnato in
innumerevoli vite precedenti e inizia a narrarle. Qui,
impiegando il dispositivo della macchina del tempo, anche se in
versione spuria (manca il viaggio nel futuro), London spedisce
Standing in giro nello spazio e nel tempo, dalla Corea alla
Palestina, da un imprecisato Paleolitico all’Ottocento.
Nell’acuta postfazione, A zonzo nell’eternullità,
Ottavio Fatica indica i pochi precedenti del romanzo: Le Dernier
jour d’un condamné di Victor Hugo ed Eureka di Edgar Allan
Poe. Non individua al presente nulla di paragonabile se non in
una somma immaginaria di Carlos Castaneda e Stephen King e
suggerisce di cercare autentiche analogie in due personaggi
estremi come l’evasore per eccellenza, Houdini e il condannato
esemplare, il capo naturale della Comune di Parigi: Auguste
Blanqui.
Tutto condivisibile. Il viaggiatore delle stelle, però, ha
seminato non poca fantascienza a ben vedere e la sua progenie è
una legione di immortali, magari goffi come l’Hedrock di Van
Vogt o disincantati, ludici e spregiudicati come i fabbricanti
di universi di Farmer. L’oltreumano accennato da Fatica ha
trovato nella sf classica il suo pieno dispiegamento, complice
la vertiginosa ascesa delle tecnologie nel secolo scorso. London
ci ha lasciato troppo presto per assistere ad un simile
dispiegamento di forze, ma ci ha regalato un romanzo che, come
il suo anti eroe Standing, si reincarna oggi grazie a una
narrazione di temi all’altezza del nostro tempo, quello dei
saperi applicati sempre più soft e degli incubi hard che li
accompagnano come ombre, compresa la violenza senza tempo del
potere.