Il rovesciamento del topos nella fantasy di Terry Brooks
di
Roberto Paura

 



Non c’è eroismo, né grandezza nelle vicende che Brooks ci racconta in questi romanzi: gli oggetti della quest appaiono privi di significato, non sono che proiezioni del desiderio di appigli concreti che domina i disperati personaggi dell’epopea di Shannara.

Un altro interessante topos che Brooks si diverte a rovesciare è quello dell’usurpatore. L’ultima delle funzioni proppiane citate sopra può in molti casi, infatti, “allargarsi”: una volta tornato a casa, l’eroe deve vedersela con un ultimo nemico, il “falso eroe” che ne ha preso il posto. Per sconfiggerlo, l’eroe deve affrontare una nuova difficile prova, superata la quale viene riconosciuto e il falso eroe viene smascherato. Questo topos, che si riscontra già nell’Odissea omerica, e che viene ripreso anche nel Signore degli Anelli nel momento del ritorno di Frodo e Sam nella Contea, è da Brooks rovesciato ne L’unicorno nero, terzo volume della saga di Landover. Qui lo scontro tra eroe e falso eroe non avviene infatti nell’ultima parte del romanzo ma domina l’intera vicenda, e si basa su un nuovo espediente: Ben Holiday, re di Landover, viene trasformato in un misero contadino e Meeks, il crudele mago usurpatore, assume invece le fattezze di Holiday. La vittoria di Ben e lo smascheramento di Meeks avverrà solo quando Ben, dopo un lungo peregrinare, assumerà sicurezza riguardo la propria identità riacquistando le sue fattezze e sconfiggendo la magia di Meeks. Non vi è quindi più l’espediente della prova rivelatrice per sconfiggere il falso eroe, ma una lenta evoluzione psicologica dell’eroe per tornare ad essere “sé stesso”.

L’intera produzione di Brooks si basa sul concetto che l’eroe, lungi dall’essere un personaggio senza macchia e senza paura, è in realtà debole e capace di sbagliare. Dunque, ecco spiegata la necessità del rovesciamento del topos della quest e dell’oggetto magico. Ma ecco anche spiegato il rovesciamento di un altro topos classico, quello dell’aiutante magico. Ne La Spada di Shannara e nei due successivi romanzi che compongono la prima trilogia ambientata nelle Quattro Terre, l’aiutante magico per eccellenza è impersonato da Allanon, il druido depositario di antichissime conoscenze che tanto somiglia al Gandalf di Tolkien o all’Obi-Wan Kenobi di Star Wars. Ma Allanon, così come i successivi aiutanti magici Cogline e Walker, non sono certo esseri infallibili, né tanto meno perfetti. I druidi, rappresentati da Allanon, sono tutti individui che tessono intrighi e che spesso usano gli altri come strumenti per i loro disegni. Di qui la forte critica che i membri della famiglia Ohmsford e soprattutto Walker Boh (prima che lui stesso si ritrovi a diventare druido) rivolgono a quest’arcana istituzione, rea di essersi “autodistrutta” perché chiusasi in sé stessa non è riuscita a trovare alleati nella lotta al Signore degli Inganni ed è stata sterminata. Allanon mente esplicitamente ai personaggi della saga di Shannara, al punto tale da nascondergli i veri scopi delle loro missioni e i reali pericoli cui vanno incontro. L’aiuto da lui dato all’eroe, inoltre, serve unicamente per uscire da una complicata situazione, e non è mai risolutivo per il successo della missione, la qual cosa va letta nell’ottica della necessità che l’eroe compia con le sue sole forze il proprio destino (è la stessa cosa che avviene con Frodo e con Luke Skywalker: l’originalità di questi “eroi” sta nell’essere profondamente umani e di riuscire nella loro impresa senza l’aiuto di forze magiche, ma con la propria sola volontà: un elemento in comune anche con il personaggio di Harry Potter).

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