La banda
di Eran Kolirin Viaggio nell’imprevisto,
nell’altrove, mettendo a nudo anime fino a quel momento ben
protette da uniformi azzurre luccicanti, lustre, inamidate. Le uniformi
e le anime sono quelle dei membri della banda della polizia municipale
di Alessandria d’Egitto, capitanata dal burbero colonnello Tewfiq
(Sasson Gabai, una maschera memorabile alla Buster Keaton), invitata a
suonare in una moderna città israeliana, Petah Tikva, in
occasione dell’inaugurazione di un centro culturale arabo. Otto
elementi che giunti all’aeroporto di Tel Aviv non trovano nessuno
ad accoglierli per ragioni che restano inspiegate. Decidono di muoversi
in proprio, e viene incaricato di acquistare i biglietti il bel Khaled,
giovane playboy della banda. Padroneggiando male l’inglese e
stregato dagli occhi dell’impiegata al punto di canticchiarle a
mo’ di serenata My Funny Valentine (cavallo di battaglia del suo
idolo musicale, Chet Baker), viene frainteso e acquista biglietti per
Bet Hatikva, desolatissimo agglomerato urbano situato nel nulla, dove i
nostri sosteranno 24 ore in attesa che il giorno successivo la corriera
ripassi. Un arco temporale sufficiente a Kolirin (alla sua opera prima)
per disegnare alcuni indimenticabili ritratti, scomponendo la
narrazione in tanti piccoli episodi poetici e umoristici, in questa che
a tratti è una versione mediorientale del Leningrad Cowboys di
Aki Kaurismaki. Svetta la figura di Tewfiq che al termine della notte
troverà il modo di raccontare momenti drammatici del suo passato
e quella della padrona del bar, Dina (l’affascinante Ronit
Elkabetz) che insieme a due scombinati avventori del suo bar
troverà una sistemazione per la notte ai membri della banda e
civetterà con l’impeccabile colonnello. Alcune scene sono
da antologia, come la lezione di seduzione che Khaled impartisce in una
squallida balera al coetaneo israeliano Papi, la lezione di direzione
d’orchestra del colonnello a Dina e la Summertime cantata da
Simon, il vice di Tewfiq, dal resto della banda e dalla famiglia che li
ospita nel corso di una cena surreale. Un film dove i protagonisti sono
dei musicisti non poteva non avere uno splendido tema: Kol Shee Helo,
ovvero Everything Beautiful Reminds Me of You. Lo dedica Dina a Tewfiq
chiedendo nel locale in cui cenano di mandarlo a tutto volume da un
compatto radio/cd. Musica diegetica e splendidamente sentimentale. |
titolo La banda
regia Eran Kolirin
casa di produzione Cecchi Gori Home Video
principali interpreti Sasson Gabai, Ronit Elkabetz, Khalifa Natour, Saleh Bakri
|
|
[ torna a visioni ] |
||
|
Les Stances À Sophie
di Moshe Mizrahi Il cinema francese e il jazz
d’oltreoceano periodicamente incrociano le loro strade. Prima di
questo lungometraggio del regista franco-israeliano, era già
successo negli anni Cinquanta, quando Louis Malle si avvalse di uno
strepitoso Miles Davis in Ascenseur pour l'échafaud, e Roger
Vadim ingaggiò Art Blakey e i suoi Jazz Messengers per
commentare Les liaisons dangereuses. Ricapitò successivamente,
ad esempio quando Bertrand Tavernier girò Round Midnight
convocando sul set jazzman di razza come Dexter Gordon e Herbie
Hancock. In questo caso, poi, la colonna sonora ha quasi svolto il
ruolo di prova dell’esistenza del film stesso. Definito
all’epoca (1970) il primo film femminista, Les Stances À
Sophie, tratto dall’omonimo romanzo di Christiane Rochefort,
è stato infatti per decenni un oggetto misterioso, noto solo
grazie alle musiche realizzate dai membri dell’Art Ensemble of
Chicago, allora residenti a Parigi. La pellicola sostò per un
breve periodo nelle sale cinematografiche francesi e riapparve
successivamente in alcuni campus universitari negli Usa in occasione di
una serie di letture/lezioni tenute dalla Rochefort, per poi svanire
definitivamente nel nulla. Mizrahi conosceva l’AEOC poiché
questi erano vicini di casa di un suo amico. Il regista aveva poi avuto
modo di seguirli e apprezzarli in diverse performances, così non
solo commissionò loro la musica, ma li coinvolse al punto di
riprenderli in una scena dove eseguono il Thème de
Céline. Non solo, subito dopo Joseph Jarman (uno dei membri
dell’AEOC) si ritrova a scambiare alcune battute proprio con la
protagonista, Céline (Bernadette Lafont). L’AEOC
onorò l’impegno con indimenticabili incursioni nel R&B
(il Thème de YoYo’) e nel barocco con le variazioni sul
Lamento d’Arianna di Monteverdi. Il film prende avvio
dall’incontro tra Céline e il suo futuro marito, Philippe
(Michel Duchaussoy) in seguito a un surreale incidente automobilistico,
con la Lafont che nella prima inquadratura guarda dritto in macchina.
Un altro incidente d’auto, questa volta mortale, di fatto
conclude poi la storia, poiché la morte dell’amica di
Céline, Julia (Bulle Ogier), segnerà per sempre la
relazione tra Céline e Philippe. Tempi narrativi e dialoghi
mostrano evidenti parentele con gli stilemi classici della nouvelle
vague. Quanto ai temi trattati, creatività artistica,
libertà sessuale, denuncia del vivere borghese, emancipazione,
il bagaglio critico dei Sessanta in questo film lo si ritrova tutto.
Splendidi gli interni, in cui il film è girato per buona parte.
Il dvd include il clip del Thème de Céline e una recente
intervista a Jarman a propos du film. Il booklet contiene
un’intervista a Mizrahi e la sua filmografia. In lingua
originale, sottotitoli in inglese.
|
titolo Les Stances À Sophie
regia Moshe Mizrahi
casa di produzione Soul Jazz records
principali interpreti Bernadette Lafont, Michel Duchaussoy, Bulle Ogier, Serge Marquand
|
|
[ torna a visioni ] |
||