Fordlandia
di Jóhann Jóhannsson Epica e sentimentale, struggente, meditativa e malinconica, la musica contenuta in questo quarto album del musicista islandese ne conferma maestria compositiva, vena melodica e abilità nel fondere con cura certosina grandi organici orchestrali e piccoli suoni elettronici. Qui sono chiamati a eseguire le sue partiture un pugno di compatrioti (dal fido Matthias M.D. Hemstock alle percussioni elettroniche a un quartetto d’archi, un organista e un clarinettista) e l’orchestra e il coro della Filarmonica di Praga, oltre allo stesso autore (pianoforte, organo a canne ed elettrico, chitarra ed elettroniche). Jóhannsson produttore e compositore per cinema e teatro, musicista membro dell'Apparat Organ Quartet e co-fondatore della Kitchen Motors (collettivo di musicisti ed artisti islandesi), è ormai artista di primo piano nella feconda scena nord europea. Per la verità, Englabörn, uscito su Touch e poi ristampato nel 2007 dalla 4AD, ne aveva già subito messo in mostra le qualità. L’ascolto di Englabörn produceva un rapimento immediato, sin dall’iniziale Odi et amo catulliano musicato per quartetto d’archi e voce femminile. Ancora su Touch era anche il successivo Virðulegu Forsetar, solenne composizione in quattro movimenti per undici ottoni, due organi, un pianoforte, un basso, percussioni ed elettronica, qualcosa come un singolare incontro tra Richard Strauss e i minimalisti americani. Poi il passaggio alla 4AD e l’inizio di un’insolita trilogia dedicata a icone industriali inaugurata dal sontuoso episodio, IBM 1401, A User's Manual, (lo spettacolo realizzato in collaborazione con la coreografa e danzatrice Erna Ómarsdóttir) dedicato al primo computer IBM (il modello 1401) arrivato nel 1964 in Islanda proprio grazie al padre di Jóhannsson. Ora questa seconda puntata ci sposta indietro di quasi mezzo secolo e ci conduce in piena foresta amazzonica lungo il corso del Rio Tapajós, uno dei tantissimi affluenti del Rio delle Amazzoni, dove nel 1929 Henry Ford acquistò un grande appezzamento di terreno per farne una piantagione di gomma da utilizzare per gli pneumatici delle sue automobili. Un insediamento a cui venne dato appunto il nome di Fordlandia e che dopo diverse travagliate vicende venne abbandonato. Ancora oggi le sue rovine tentano di resistere alla foresta che lentamente, fagocitando metro dopo metro, nel tempo, si è vendicata dell’affronto. Tutto questo racconto (globalizzazione ante litteram) viene distribuito in tre tracce, le maestose Fordlandia e How We Left Fordlandia, poste in apertura e chiusura del disco e la crepuscolare Fordlandia – Aerial View, affidata ai soli archi, lungo un percorso che vede alcuni brevi intermezzi intitolati Melodia I – II – III e IV e alcuni episodi collaterali. Il primo è The Rocket Builder (Io Pan!) per quartetto d'archi, percussioni elettroniche, il secondo è il celestiale The Great God Pan Is Dead per coro, archi e organo, e il terzo Chimaerica per organo a canne, è un vero tuffo nel futuro remoto, visto il contesto. I quattro brevi episodi con la numerazione romana, affidano di volta in volta la stessa melodia a vari strumenti (clarinetto, piano, organo), tessendo una serie di variazioni che poi confluiscono nell’imponente Melodia (Guidelines For A Propulsion Device Based On Heim's Quantum Theory), in cui lo stesso tema viene affidato all’orchestra con rinforzo di organo e percussioni elettroniche. Un crescendo esaltante, ma la vetta si tocca in chiusura nell’addio a Fordlandia (How We Left Fordlandia), dove alla sommessa partenza per organo subentra progressivamente un volo sempre più ampio dell’intera orchestra su, in alto, fino a che, per qualche istante, ci si eleva ad altezze mahleriane. Poi cala il sipario.
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titolo Fordlandia
di Jóhann Jóhannsson
etichetta 4AD
distribuzione Self
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