Black Sea
di Fennesz Tra il mare della laguna
veneziana (l’album Venice) e questo anonimo mare nero
c’è di mezzo un lasso di tempo di oltre quattro anni. Un
intervallo che ha dato modo al musicista austriaco di rendere ancora
più fine la sua maestria nel cesellare ogni singola cellula
sonora. Chiusa la parentesi in duo con Ryuichi Sakamoto, Christian
Fennesz conferma quanto si era andato delineando in Venice, ovvero una
progressiva e netta emancipazione dal glitch e da certe sonorità
industrial (che trovò mirabile summa in Endless Summer, 2001, ma
che si può considerare anche l’album della svolta) in
favore di orchestrazioni di più ampio respiro, che includono, in
continuità con il recente passato, schegge di suoni sintetici,
chitarre processate, rumorismi assortiti e cristallini inserti di
chitarra acustica (nelle intro di Grey Scale e Glass Celling, ad
esempio). Tutto amalgamato e distillato con cura certosina, riuscendo a
farne scaturire un flusso sonoro omogeneo. La title track che apre il
disco è già un compendio di questo lavoro alchemico, che
ritroviamo con ingegnose variazioni in tutto il disco. Un modo di
procedere teso a disegnare ambient cinematici ricchi di chiaroscuri,
dove si susseguono paesaggi composti di suoni ora distorti, ora
acustici, magari un arpeggio di chitarra o qualche nota campionata
d’organo (in Perfume For Winter), oppure il piano preparato di
Anthony Pateras in The Colour Of Three, confluenti gli uni negli altri,
lasciando che tutto si dissolva, precipiti e riemerga ripetutamente.
Ovunque regna un’atmosfera sognante e malinconica, con rare e
luminose aperture di commovente lirismo. Un andamento particolarmente
evidente in Glide, forte di un crescendo maestoso che conduce al
silenzio, pièce che vede anche la partecipazione di un altro
sperimentatore, il neozelandese Rosy Parlane. In una splendida
sospensione nel vuoto cosmico si muove poi Vacuum, che raccoglie il
testimone lasciato dall’Apollo di Brian Eno.
Un’eredità pesante raccolta da mani sapienti.
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titolo Fennesz
di Black Sea
etichetta Touch
distribuzione Family Affair
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Flower Of Evil
di Susanna Secondo disco in solitaria per
Susanna Karolina Wallumrød (semplicemente Susanna),
raffinatissima voce norvegese in forza all’etichetta tutta
scandinava Rune Grammofon. Se un anno fa Susanna ci aveva deliziato con
le dodici tracce di Sonata Mix Dwarf Cosmos, oggi si impone per la
chiarezza del suo talento con Flower Of Evil il suo ultimo lavoro.
Flower Of Evil è un disco pressoché impeccabile, dodici
cover e due pezzi composti direttamente dal pugno dell’artista.
Con le chitarre di Helge Sten (Supersilent) e l’apparizione
veramente straordinaria del triste cantore Bonnie “Prince”
Billy (al secolo Will Oldham) in una serie di controcanti e duetti
decisamente indimenticabili, Susanna reinterpreta dai Badfinger
(Without You) a Lou Reed (Viciuos), passando per Prince (Dance On),
fino a presentare una delicatissima versione di Changes (Black Sabbath)
traducendo in sensibilità femminile nordica le sensazioni
già cupe del quartetto di Birmingham che ha fatto la storia del
metal. Opera non facile quella di Susanna, ricordarsi della propria
malinconia e ad essa affidare la canzone dei gusti più
disparati. Perché in Flower Of Evil non ci sono solo delle
semplici cover, ma c’è la concezione che della musica ha
uno stile aurorale. Uno stile limpido che fluttua su uno sfondo
costantemente nero, come è il cielo norvegese quando è
inverno. Susanna porta per mano l’ascoltatore, lo accarezza col
suo piano ed il suo canto, e non lo trascina mai tanto è
immobile e pervasiva la cortesia delle sue note.
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titolo Flower Of Evil
di Susanna
etichetta Rune Grammofon
distribuzione Goodfellas
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Of Sirens Born
di Raglani Prima uscita per la Kranky di
Joseph Raglani da St. Louis, che segue una lunga serie di lavori
autoprodotti. Armato di sintetizzatore analogico modulare, generatori
d’onde, chitarra, melodica, voce e flauti, Raglani non fa mistero
del suo amore per la musica tedesca degli anni Settanta, ma questo
lavoro si impone proprio per la freschezza della proposta che contiene,
per il trip che propone sin dalla breve Rivers In posta in apertura. Il
caotico procedere della successiva The Promise Of Wood And Water,
impreziosito da arpeggi di chitarra, smarrisce, non offre punti di
riferimento, sminuzza vocalismi, sembra di afferrare un rimando, una
direzione, la traccia di un timbro di fisarmonica, ma tutto è
costantemente scompaginato, autentico disorientamento elettroacustico,
siamo in una quarta dimensione, senza sopra o sotto, come si addice a
chi fluttua nel cosmo in compagnia di oscillatori, e qui si ritrova
l’ispirazione di partenza, cosmische musik, genialmente
reinterpretata, colta nello spirito senza ricalcarne le forme. Poi si
intravede qualcosa, un omaggio più esplicito ai corrieri
cosmici. Sono i Tangerine Dream a tornare in mente in Perilous Straits,
ma subito la linea di fuga conduce a lidi sconosciuti a bordo di una
montagna di distorsioni e riverberi. Una marea montante di suoni
screziati, di rumori progressivi che onda dopo onda arrivano alla piena
nel successivo Washed Ashore, che dopo un indecifrabile canto
d’apertura (forse è questa la voce delle sirene) apre al
versante più elettronico-rumorista (stile Merzbow). Che cosa ci
faccia poi una melodica nel bel mezzo di questo temporale sonico
è un bel mistero e rende evidente il fascino di questo lavoro,
che sorprende a ogni istante, compreso il brano di chiusura, Jubilee,
che torna a una dimensione più melodica, sebbene infastidita da
folate di noise. Enjoy your trip.
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titolo Of Sirens Born
di Raglani
etichetta Kranky
distribuzione Goodfellas
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