Original Darkness
di Christina Carter Original Darkness. Una
copertina di cartone bianchissimo, sullo sfondo il tratteggio del
ritratto di Christina Carter e, al centro, la sua firma.
L’oscurità dichiarata dal titolo dell’album sparisce
abbacinata dal chiarore della copertina fin quando non si apre il
digipack, e un altro ritratto della stessa Carter appare come
un’ombra. Seduta al di qua di una finestra completamente in
controluce, nero, solo una mano poggiata su un tavolo è
illuminata dalla luce del sole che attraversa il vetro. È
l’immagine del concetto che sottende alla produzione
dell’album, e la Carter lo ammette immediatamente per come la sua
voce sussurra “The white becomes the black the black becomes the
white” aprendo una title track messa apoditticamente
all’inizio del disco. E questo bianco e questo nero sono i toni
di una tavolozza minimale che non ha bisogno dell’apporto di
altri colori, così come Christina non ha bisogno di alcun
supporto per suonare, comporre e missare i suoi brani. Chitarre,
tastiera e voce le appartengono, e sono gli unici ingredienti della sua
musica, una musica tipicamente intima e fatta di monotonie del suono e
di monologhi della parola, una musica raccontata al proprio riflesso
prima che agli altri. Christina adagia la sua voce sottile quasi
sibilando sugli arpeggi ed i tappeti delle tastiere, e sembra che lo
faccia appoggiando le labbra al microfono, come a creare una
continuità fisica con lo strumento. Original Darkness è
dieci tracce di musica intensa, certamente non facile né
tantomeno da fischiettare camminando in strada. Ma proprio in questo
trova la sua forza e la sua ragione, in un silenzio individuale
restituito all’insistente leggerezza del vociare esterno.
|
titolo Original Darkness
di Christina Carter
etichetta Kranky
distribuzione Goodfellas
|
|
[ torna a ascolti ] |
||
|
Carried To Dust
di Calexico Calexico è una cittadina
californiana il cui nome nasce dalla fusione tra quelli di California e
Messico. È luogo di confine Calexico, e sul confine sta pure la
band cui ha dato il nome. Questo nome venne scelto per testimoniare
della fusione di generi che la musica dei Calexico propone: un
po’ trascinata dalle sonorità folk e post-rock
nordamericane, un po’ imbonita dalle orchestrine mariachi, il
tutto condito da polverose atmosfere da vecchio film western.
Così i testi: talvolta in inglese, talvolta in spagnolo. I
Calexico hanno fatto scuola, quando uscirono con i primi tre album la
scena indie gridò al tripudio (la loro seconda fatica The Black
Light – 1998 – e tutt’oggi un capolavoro), salvo poi
ritrarsi in una serrata critica ai lavori successivi. Sì
perché i Calexico hanno ammorbidito di molto il loro sound, e
questo Carried To Dust ne sia testimonianza. Decimo album della band
presenta una lunga tracklist fatta di quindici brani brevi e
passeggeri, di quelli che ti fanno agitare la testa seguendone il ritmo
ma che dalla testa escono subito. Come se Calexico fosse passata
più a sud, dove la giurisdizione messicana ha più
influenza, lasciando al nord solo il mordente fatto della sabbia dei
deserti texani. Carried To Dust è musica per automobilisti soli
persi in chissà quale statale tra cactus e pompe di benzina
abbandonate, è musica per serate abbondanti di tequila, non
più per chi i Calexico li ha apprezzati dall’inizio.
Ascoltando questo disco, come se fosse il primo di una nuova band, si
rimarrebbe sicuramente soddisfatti, ma il passato, purtroppo, non mente
in musica.
|
titolo Carried To Dust
di Calexico
etichetta Quarterstick
distribuzione Self
|
|
[ torna a ascolti ] |
||
|
BM
di Barbara Morgenstern Un notebook Apple alla sua
sinistra e una tastiera Roland di fronte a sé. Così
Barbara Morgenstern sale sul palco per presentare BM, il suo ultimo
album, scarpette da ginnastica bianche e abiti neri come se si fosse
vestita rapidamente per aprire ad un vicino di casa. Eppure la cantante
tedesca è artista navigata, bandiera della Monika Enterprise e
dell’elettronica più soft del gusto mitteleuropeo.
Perché non eccede Barbara, non l’ha mai fatto in carriera
e tanto meno lo fa adesso con BM, disco che porta per nome le sue
iniziali, come un marchio semplice e scevro da ogni pretesa di sorta.
L’elettronica di Barbara è sempre stata di quelle
più garbate, mai invadente, per questo forse ha incontrato nel
tempo il gusto dei più diversi tipi di fan, anche di quelli che
l’elettronica non sanno proprio cosa sia. BM è un disco
sostanzialmente quieto, si chiudono anche gli occhi ascoltando la
soffice Für Luise, traccia dall’incedere fragile che oscilla
tra la delicatezza e la semplicità di un carillon un po’
stonato. Anche se quando s’incontra My Velocity regna, come in un
vecchio garage della Germania Est, un classico elettro-stridore, lo
stesso che sopravvive nella successiva traccia Morbus Basedow. Ma la
parabola si calma nuovamente, e capita anche di rimanere sospesi in una
vena quasi psichedelica, delicata ma al tempo stesso penetrante come in
Jakarta. Sicuramente la musica dell’artista teutonica non brilla
per spessore compositivo mentre strizza l’occhio a
sonorità leggermente pop, tuttavia sa anche accompagnare
teneramente le notti solitarie, soprattutto a sentire la chiusura di
BM, quella Hustefuchs che suona come una docile ninnananna screziata di
malinconia.
|
titolo BM
di Barbara Morgenstern
etichetta Monika Enterprise
distribuzione Indigo/Kompakt
|
|
[ torna a ascolti ] |
||