Non
ci poteva sfuggire questa
corrispondenza. Per
Keplero, questo ribaltamento immaginifico non era solo un artificio per
caratterizzare I'aspetto narrativo dello scritto, ma soprattutto fu una
necessità per mascherare il senso delle sue osservazioni,
che di certo
contrastavano con la visione ufficiale dell'universo di quell'epoca.
Egli struttura infatti un racconto fantastico, con qualche risvolto
autobiografico, frutto apparente di un delirio onirico e
perciò
inattendibile. Ma per svelare la sua visione, l'autore crea una rete di
annotazioni, la cui lunghezza complessiva supera più di tre
volte
quella del racconto. In queste 223 note egli sviluppa il suo modello
copernicano, chiarisce i riferimenti ed estende le sue considerazioni.
Il testo sembra funzionare così come una sequenza di parole
chiave,
allusive, utilizzate più che per articolare una
vicenda, per rimandare
a dei concetti. Un insieme di parole magiche che costituiscono una
formula e che aprono a dei significati nuovissimi. Non ci
poteva
sfuggire, dicevamo, questa corrispondenza tra I'immaginazione di
Keplero e gli occhi dei mostriciattoli vedenti nel descrivere “la Terra
vista dalla Luna“ (un pensiero vola anche verso Pasolini). Non potevamo
prescindere dal fatto che oggi quello sguardo rovesciato è
diventato
praticabile non solo con I'immaginazione. L'attuale tecnologia ha reso
I'immagine della Terra parte del nostro quotidiano. I satelliti sono
diventati le nostre protesi oculari, il punto di vista estremo su cui
rimbalza il nostro autoritratto collettivo in ogni momento. Nel
progettare Kepler's Traum non potevamo quindi non essere tentati dal
prolungare il racconto delle immagini sino alla nostra
contemporaneità,
anzi sino all'istante stesso che lo spettacolo sarebbe andato in
scena. L'immagine
in diretta della Terra, trasmessa in collegamento Meteosat, durante lo
svolgimento dello spettacolo diviene, di fatto, il momento centrale, il
cuore della messa in scena dell'opera. Sulla scena ruotano su due
differenti orbite due videoproiettori che imprimono le loro
informazioni, i loro frammenti di racconto su un grande e semicircolare
schermo che avvolge gran parte del palcoscenico. Uno schermo che si
svolge come quel grande lenzuolo nel quale si trova avviluppato
Keplero, tornando alla realtà, alla fine del suo sogno. Tra
questi
elementi giostrano le presenze dei cantanti interpreti e
dell'orchestra stessa, che non è collocata,
secondo tradizione, a
margine dello spettacolo ma entra nello stesso grazie alla dislocazione
delle diverse sezioni sul palcoscenico. Un attore, travestito da
orchestrale, con quel tocco di ironia che si addice ad un demone,
manovra e illustra questo "planetario" svelandoci una sua "maschera"
dell'universo.
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